SULL’ESEMPIO DI SANT’AMBROGIO SI AMMINISTRI CON EQUILIBRIO E SAGGEZZA, SUPERANDO I CONTRASTI…

SULL’ESEMPIO DI SANT’AMBROGIO SI AMMINISTRI CON EQUILIBRIO E SAGGEZZA, SUPERANDO I CONTRASTI…


“La carità politica. I Parlamentari italiani commentano i Discorsi di Benedetto XVI alle donne e agli uomini impegnati nelle istituzioni civili”.
Presentazione di Sua Ecc. Mons. Lorenzo Leuzzi.
 
di Gero Grassi – Vicepresidente Commissione Affari Sociali Camera dei Deputati
 
Quando pensiamo all’impegno politico come mezzo per garantire a tutti gli uomini eguali diritti ed equità sociale, dobbiamo partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948.
Il riconoscimento della dignità inerente tutti gli uomini costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. La storia insegna: il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che hanno offeso la coscienza dell’umanità. Basti pensare alle sterminazioni naziste e sovietiche.
E’ indispensabile che i diritti dell’uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo, soffocato nella sua dignità, ricorra alla ‘giustizia privata’.
L’Articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione, di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”
L’articolo 2, invece, afferma: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
 Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.”
L’articolo 3 più semplicemente sintetizza lo spirito della Dichiarazione: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.”
Pongo una domanda: ‘servono allora le leggi per garantire agli uomini uno spirito di fratellanza, finalizzato al raggiungimento della pace nel mondo?…


“La carità politica. I Parlamentari italiani commentano i Discorsi di Benedetto XVI alle donne e agli uomini impegnati nelle istituzioni civili”.
Presentazione di Sua Ecc. Mons. Lorenzo Leuzzi.
 
di Gero Grassi – Vicepresidente Commissione Affari Sociali Camera dei Deputati
 
Quando pensiamo all’impegno politico come mezzo per garantire a tutti gli uomini eguali diritti ed equità sociale, dobbiamo partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948.
Il riconoscimento della dignità inerente tutti gli uomini costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. La storia insegna: il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che hanno offeso la coscienza dell’umanità. Basti pensare alle sterminazioni naziste e sovietiche.
E’ indispensabile che i diritti dell’uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo, soffocato nella sua dignità, ricorra alla ‘giustizia privata’.
L’Articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione, di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”
L’articolo 2, invece, afferma: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
 Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.”
L’articolo 3 più semplicemente sintetizza lo spirito della Dichiarazione: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.”
Pongo una domanda: ‘servono allora le leggi per garantire agli uomini uno spirito di fratellanza, finalizzato al raggiungimento della pace nel mondo?
Ebbene si. L’uomo ha bisogno di regole per orientarsi nelle scelte e nei comportamenti. L’amministratore chiamato a legiferare ha sulle spalle un fardello pesantissimo: produrre leggi che salvaguardino la ‘natura’ e la dignità umana.
La Costituzione italiana dedica grande attenzione ai diritti umani.
L’articolo 2 dichiara: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
L’articolo stabilisce che la Repubblica italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo come singolo ed inserito nelle formazioni sociali.
Quando parliamo di formazioni sociali partiamo dalla famiglia, per approdare alle forme più complesse di associazionismo riconosciute dallo Stato.
Il richiamo a questi diritti trova la sua origine in una lunga tradizione storica e filosofica.
Pensiamo per esempio al giusnaturalismo (dal latino: ius=diritto; naturalis=naturale), una corrente di pensiero sviluppatasi soprattutto in età moderna, secondo la quale esistono diritti naturali, diritti, cioè, che appartengono per natura all’uomo e perciò precedono l’esistenza stessa dello Stato, che non li crea, ma, li deve riconoscere e garantire attraverso le leggi.
Aldo Moro ha sostenuto questa tesi strenuamente. Parlava, infatti, di sacralità della persona, prima ancora che rispetto del cittadino inserito nel contesto sociale ed ottenne che la Costituzione parlasse di riconoscimento di diritti alla persona e non di concessione come sostenevano alcuni.
I diritti naturali, proprio in quanto costitutivi della natura umana, non sono legati ad una determinata cittadinanza. Appartengono a tutti gli uomini.
Il riconoscimento è importantissimo perché obbliga la Repubblica italiana a garantire a tutti, anche a coloro che non sono cittadini italiani, questi diritti fondamentali.
È importante il riferimento dell’articolo 2 alle ‘formazioni sociali’ in cui si svolge la vita dei cittadini. Il riconoscimento e la garanzia dei diritti non vale soltanto per l’individuo preso singolarmente, questo è l’ambito dei diritti civili, ma anche per l’individuo inserito nei contesti sociali, questo è l’ambito dei diritti sociali.
Pensiamo alle formazioni sociali di tipo istituzionale previste dalla Costituzione, come: Comuni, Province Regioni. Ma pensiamo anche a realtà come la famiglia, la scuola, il lavoro e tutti quei contesti sociali in cui si svolge la vita.
Le leggi sono importantissime. Senza regole il libero arbitrio può generare comportamenti che offendono la dignità umana.
Il Mondo può contare su una guida spirituale che quotidianamente sollecita la natura umana al rispetto della dignità altrui, perseguendo il bene collettivo.
Il Santo Padre Benedetto XVI, attraverso i discorsi agli uomini e alle donne impegnati nelle istituzioni civili, ribadisce l’esigenza di porre in essere un’opera complessa di onestà e creatività intellettuale, capace di farsi promotrice di un ‘vero’ rinnovamento. Tale esigenza coinvolge tutti, particolarmente gli amministratori che hanno facoltà di sensibilizzare i cittadini in rispetto e fiducia, condivisione e collaborazione.
Quando i cittadini sono coinvolti, si sentono protagonisti nella costruzione della città, del territorio, del Paese.
Benedetto XVI, sull’esempio del giovane Re Salomone invita i politici a non anteporre nulla alla ricerca del diritto, via maestra per combattere soprusi e ingiustizie.
L’amministratore non può essere un semplice esecutore di norme, ma un servitore dello Stato impegnato nella tutela della dignità umana, troppo spesso a rischio a causa di leggi ‘ingiuste’, imposte da maggioranze assembleari. Pensiamo per esempio al Testamento Biologico o alle Unioni di Fatto dove alta deve essere l’attenzione da parte degli amministratori, poiché dalle scelte compiute dipende il futuro di parte dell’umanità.
Da cattolico democratico ho trovato illuminante il discorso di Benedetto XVI tenuto nella città di Milano in occasione della Visita Pastorale e del VII incontro mondiale delle famiglie, (tenuto nei giorni 1,2,3 giugno 2012) con riferimenti precisi a Sant’Ambrogio.
Ad elezione avvenuta, come Governatore delle province della Liguria e dell’Aemilia, il Prefetto invita Sant’Ambrogio ad amministrare non come giudice, ma come Vescovo. Sant’Ambrogio amministra con equilibrio e saggezza, buon senso e autorevolezza, superando i contrasti e ricomponendo le divisioni.
Questo, oggi, serve all’Italia per andare oltre la crisi: collaborazione, reciprocità, capacità per superare divisioni e steccati, tutto finalizzato al raggiungimento del bene comune.
Per Sant’Ambrogio la prima qualità di chi governa è la giustizia, perché riguarda il bene della comunità intera. La libertà, poi, non è un privilegio per alcuni, ma un diritto per tutti. Libertà non significa arbitrio del singolo ma responsabilità di ciascuno.
Questi concetti devono essere ben chiari a chi amministra nel terzo millenio. La giustizia deve trionfare su tutto: sugli interessi personali, su quelli economici, su quelli politici. Purtroppo non sempre accade. La libertà va sempre rispettata. Bisogna garantire il confronto, il dialogo ed il rispetto delle idee altrui. Nessuno deve imporre il proprio ‘credo’ con la forza, nella vita di tutti i giorni e tantomeno in politica, quando dalle decisioni prese dipende il futuro di molti.
La laicità dello Stato si basa anche sul rispetto della libertà altrui, affinchè tutti possano proporre le proprie idee e la propria visione della vita comune, nonché la risoluzione di problematiche sociali. Tutto deve avvenire nel rispetto delle leggi e delle regole che mirano al bene collettivo.
Lo Stato e chi lo rappresenta attraverso la gestione della res pubblica, devono essere a servizio della persona, a cominciare dal diritto alla vita, che va salvaguardato fino all’ultimo respiro. Chi amministra deve proteggere la cellula fondamentale della società che è la famiglia, basata sul matrimonio. Non può esserci futuro se si concede che la famiglia vada incontro a disgregazione, discredito e depotenziamento.
Se lo Stato non sostiene la famiglia, l’educazione, la formazione dei figli, manda in frantumi la società. Per scongiurare tale nefasta prospettiva è preziosa la collaborazione con la Chiesa, non perché i ruoli debbano sovrapporsi, ma per l’apporto che essa può fornire alla società con la sua dottrina, le sue istituzioni a servizio della gente. Penso, per esempio, alla Caritas e al ruolo insostituibile che svolge a servizio delle fasce sociali più deboli in questo periodo di crisi.
Il periodo difficile che stiamo attraversando ha bisogno di scelte politiche coraggiose, di responsabilità, ma anche di ‘gratuità’ come ribadisce Sua Santità Benedetto XVI nella Enciclica Caritas in veritate: “La ‘città dell’uomo’ non è promossa solo da rapporti di diritti e doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione”.
Tornando all’esempio di Sant’Ambrogio, a quanti vogliono amministrare e governare egli chiede che si facciano amare. Soltanto così la politica ne viene nobilitata, diventando un’elevata forma di carità. La politica deve mirare all’equità sociale e al raggiungimento della giustizia per tutti.
Togli il diritto – e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?”  dichiara Sant’Agostino. E’ una affermazione forte, ma assolutamente veritiera.
Essere a servizio del diritto e combattere l’ingiustizia devono essere il compito fondamentale del ‘buon politico’.
Qualcuno potrebbe chiedersi: “Come riconoscere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato?”
Nella storia gli ordinamenti giuridici sono stati quasi sempre motivati in modo religioso, ma il Cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un ‘diritto rivelato’. Ha sempre chiesto alla ‘natura’ e alla ‘ragione’ di discernere. La teologia si è messa dalla parte della filosofia, riconoscendo essa come fonte giuridica valida.
Se facciamo un salto indietro nel tempo, gli illuministi, fanno riferimento agli studi di due filosofi inglesi del 1600: Hobbes e Locke. Questi filosofi partono dalla teoria del contrattualismo, l’idea attraverso la quale “L’uomo esce dallo stato di natura ed entra nella società civile attraverso un patto sociale, un contratto tra gli uomini e il potere politico!” Però si rendono conto che in questo stato di natura a loro conviene che ci sia un governo che deve tutelare gli uomini che formano lo stato. Tutto questo avviene attraverso il patto sociale che deve tutelare e difendere i cittadini.
In Hobbes il contrattualismo porta alla giustificazione dell’assolutismo, in Locke serve a delineare le basi dello stato di diritto e della concezione politica liberale.
Norberto Bobbio nel 1996 in relazione ai diritti umani dichiara: “Il problema di fondo relativo ai diritti dell’uomo non è, oggi, tanto quello di giustificarli, quanto quello di proteggerli. E’ un problema non filosofico, ma politico”.
Quando parliamo di diritti umani, il nostro pensiero va subito a quei Paesi in cui ancora vige la pena di morte o la tortura. Proteggere i diritti significa anche mettere in atto azioni diplomatiche che tutelino l’umanità intera.
 La politica ha responsabilità grandissime, non può ignorare quanto accade nel mondo, offendendo la dignità umana. Un’azione politica senza spirito cristiano è un’azione politica arida, monca.
Don Luigi Sturzo, fondando ilPartito Popolare, dichiara: A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”.
Don Luigi Sturzo chiede ai cattolici di impegnarsi in politica, tuttavia tra politica e Chiesa deve esserci assoluta autonomia. Il Cristianesimo è la principale fonte di ispirazione, ma non l’unica. Don Luigi Sturzo è contrario ad una società immobile. Il movimento è dato dalle relazioni tra le persone. La società non deve essere un limite alla libertà dell’individuo. L’individuo deve scegliere se seguire la propria coscienza di buon cittadino o di credente. Non è la Chiesa che deve indirizzarlo nell’atto della scelta, che attiene strettamente alla sfera individuale del singolo.
Da sempre, quindi, il rispetto dei diritti umani è fulcro della discussione politica, sociale, laica e religiosa. La libertà è il pilastro intorno al quale costruire ogni cosa, ma senza regole e senza leggi non si può costruire nulla di duraturo.
Oggi il politico chiamato ad amministrare, ha un ruolo non facile, deve prendere decisioni importanti. Deve salvaguardare i diritti con un’esiguità di risorse che, inevitabilmente, portano all’impoverimento sociale. La carità cristiana, la gratuità, la reciprocità, sono l’unica via per uscire dalla crisi e alzare un muro, onde evitare la disgregazione dei valori fondamentali messi a rischio.
E’ difficile mantenere l’integrità morale quando il bisogno supera la soglia. Ci viene in soccorso l’esempio di San Tommaso Moro, patrono dei politici, che Sua Santità, Benedetto XVI, ricorda nel discorso tenuto a Westminster Hall, durante il viaggio apostolico nel Regno Unito del 16-19 settembre 2012. Afferma: “Ammirato da credenti e non credenti per l’integrità con cui fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano, di cui era ‘buon servitore’, poiché aveva scelto di seguire Dio per primo…”
Non bisogna, dunque, avere timore che la fede entri in dialogo con la ragione, quando si devono prendere decisioni importanti. La carità cristiana non può che generare scelte finalizzate al bene collettivo.
L’inadeguatezza di scelte adottate dagli amministratori negli ultimi anni, insieme a comportamenti di cittadini non rispettosi del bene comune, hanno generato problemi sociali, etici ed economici di enorme portata, sino a dar vita all’attuale crisi finanziaria globale. Non esistono decisioni economiche svincolate dalla ‘morale’.
I cittadini chiedono risposte ai governi, chiedono nuovi modelli nella vita pubblica, chiedono solidarietà tra le nazioni. Tutto questo non è perseguibile, se non si parte dalla carità cristiana, da una fede che ponga il rispetto della dignità umana al di sopra di tutto.
Ad ogni generazione è chiesto di studiare leggi per regolamentare la vita sociale e salvaguardare la libertà. Noi oggi siamo dinanzi ad un bivio: divenire freddi esecutori di norme per arginare la crisi o agire con più amore e spirito cristiano per far ripartire la solidarietà.
La seconda strada è quella giusta. Per salvarci dalla crisi economica e dei valori dobbiamo amministrare sull’esempio di Sant’Ambrogio con equilibrio e saggezza, buon senso e autorevolezza, superando i contrasti e ricomponendo le divisioni.
Papa Paolo VI definì la politica come la più alta fonte di carità. Aveva ragione.