LA SCUOLA DEGLI ANNI SESSANTA

LA SCUOLA DEGLI ANNI SESSANTA



di Gero Grassi – Vicepresidente Gruppo PD Camera Deputati
 
Un insolito modo per augurare a tutti gli studenti, ai dirigenti scolastici, ai docenti e agli operatori della scuola buon inizio d’anno.
 
Ho frequentato la Scuola elementare ‘Don Pietro Pappagallo’. C’erano ancora i cancelli di ferro. Correvano gli anni ‘60 e Terlizzi aveva l’autobotte per le abitazioni senza fognatura, tre cinema e una popolazione di ventitremila abitanti. Il signor maestro, come si diceva allora, è Vincenzo De Chirico, detto ‘il senatore’. Il bidello ‘cattivo’, Caiati. Forse, ora riposa in pace.
Terlizzi soffre la carenza di aule. Il doppio turno è obbligatorio, per tutti e lo sarà sino al 1990 quando io, da Sindaco della città, inauguro due scuole nuove che lo eliminano. La nostra aula è ubicata negli scantinati. Le finestre sono munite di grate. In classe siamo 42 alunni. Il sole entra rare volte in quegli scantinati, bui e umidi. Due fioche lampadine illuminano permanentemente l’aula. Ci sono laggiù altre classi, quelle dei ‘vecchi’ maestri  che, per spirito di sacrificio, accettano aule ubicate nel posto peggiore.
La riforma non ha ancora portato nelle classi il ‘modulo’ e la ‘triade’dei maestri. A quel tempo, nelle scuole elementari c’è ancora la consuetudine di affidare le prime classi alle insegnanti di sesso femminile, dalla terza alla quinta, invece, le scolaresche ‘passano’ sotto l’egida di maestri uomini, che risultavano più severi…
 
 

 
di Gero Grassi – Vicepresidente Gruppo PD Camera Deputati

Un insolito modo per augurare a tutti gli studenti, ai dirigenti scolastici, ai docenti e agli operatori della scuola buon inizio d’anno.

 Ho frequentato la Scuola elementare ‘Don Pietro Pappagallo’. C’erano ancora i cancelli di ferro. Correvano gli anni ‘60 e Terlizzi aveva l’autobotte per le abitazioni senza fognatura, tre cinema e una popolazione di ventitremila abitanti. Il signor maestro, come si diceva allora, è Vincenzo De Chirico, detto ‘il senatore’. Il bidello ‘cattivo’, Caiati. Forse, ora riposa in pace.
Terlizzi soffre la carenza di aule. Il doppio turno è obbligatorio, per tutti e lo sarà sino al 1990 quando io, da Sindaco della città, inauguro due scuole nuove che lo eliminano. La nostra aula è ubicata negli scantinati. Le finestre sono munite di grate. In classe siamo 42 alunni. Il sole entra rare volte in quegli scantinati, bui e umidi. Due fioche lampadine illuminano permanentemente l’aula. Ci sono laggiù altre classi, quelle dei ‘vecchi’ maestri  che, per spirito di sacrificio, accettano aule ubicate nel posto peggiore.
La riforma non ha ancora portato nelle classi il ‘modulo’ e la ‘triade’dei maestri. A quel tempo, nelle scuole elementari c’è ancora la consuetudine di affidare le prime classi alle insegnanti di sesso femminile, dalla terza alla quinta, invece, le scolaresche ‘passano’ sotto l’egida di maestri uomini, che risultavano più severi.
Il mio maestro è sempre allegro, preciso, buono, profumato, in ordine e pettinato. Un vero ‘pater familias’. All’occorrenza, pronto ad usare ‘caterina’, la bacchetta in legno duro per ammansire i più ribelli. Si pensi che il maestro, a casa ha sette figli: Anna, Ciccio, Stefano, Renzo, Mario, Patrizia, Fabio. A scuola, qualcuno in più. Si va con il grembiule nero seppia e il colletto bianco applicabile che ricorda vergognosamente il bavaglino. Non tutti gli alunni portano la cartella; alcuni hanno ancora le ‘belliche’ assicelle di legno lucidato che con un sistema di cordicelle, bloccano libri e quaderni, lasciando, talvolta, cadere qualche penna. Queste nel circuito scolastico, sono moneta corrente. Vi si compra tutto ed hanno un valore più alto se a colori. Queste ultime sono appannaggio dei figli dei medici.
La mattina, tra i banchi angusti in legno non levigato, con gli schienali spietatamente ad angolo retto e recanti scritte di intere generazioni di alunni, con calamai di vecchia foggia, si aggira il maestro iniziando la giornata scolastica con la recita collettiva della preghiera. Quindi invia due compagni nella palestra scoperta per la rilevazione delle condizioni meteorologiche, mentre il capoclasse (il più bravo della classe) ed il vice (a turno tra i più diligenti) ‘passano in rassegna’ la scolaresca per la verifica della pulizia delle unghie, delle orecchie, del grembiule, dei capelli corti ed ordinati e dei compiti ‘fatti a casa’. Il capoclasse è anche quello che, in assenza del maestro, risponde della disciplina e ‘segna’ sulla lavagna, in due file distinte, i ‘buoni’ ed i ‘cattivi’.
Ultimate queste operazioni dal grande contenuto educativo, il signor maestro impartisce l’ordine: “Seduti, mani in seconda”. Che vuole dire: schiena eretta contro l’asse spalliera del banco, braccia sovrapposte dietro le reni, palmi all’infuori. A questo punto l’appello e l’inizio delle lezioni: educazione civica, italiano, matematica, religione, storia, geografia, disegno, scienze, non senza aver prima impartito l’ordine “Mani in prima”, seguito di norma da una bacchettata sulla cattedra, per richiamare tutti all’assoluta attenzione. Le braccia, conseguenzialmente, si incrociano sul davanti, i gomiti si posano sulla ribaltina, le dita sfiorano le ascelle.
Le materie, allora, hanno ancora nomi comprensibili. I voti sono aritmetici, secchi e precisi. Non già come gli odierni giudizi. Spesso da interpretare a fatica.
Il maestro dice: “Quaderno a righe” o “quaderno a quadretti”. Le lezioni sono svolte con grande umanità, ma anche con severità, allorquando alcuni di noi ‘costringono’ il maestro all’uso di ‘caterina’. Chi osa ritirare la mano, merita un colpo in più. Quelle bacchettate, che certamente procurano dolore, oggi le ricordiamo quasi con piacere, perchè le meritavamo. Pedagogia dei tempi andati! Ha un metodo infallibile il nostro maestro, per rendere trasparente la bravura di ciascun alunno. Nell’aula ci sono tre coppie di banchi, disposti su 7 file, per 42 alunni. La prima fila è ‘individuata’ col nome di ‘coltello’, la seconda di ‘spada’, la terza di ‘pistola’, la quarta di ‘fucile’, la quinta di ‘mitragliatrice’, la sesta di ‘cannone’, la settima di ‘bomba’.
Un pò ricorda la divisione della classe in due squadre: l’una dei Romani e l’altra dei Cartaginesi, dei tempi di Collodi. In base ai compiti in classe o svolti a casa, all’ordine e alla condotta viene costituita una vera e propria graduatoria tra gli alunni, e questa ne determina il posizionamento nei banchi. Quelli della retroguardia sono i più bravi. Senza alcuna invidia però, anzi con molto spirito di emulazione tra tutti.
Il signor maestro, giustamente, pretende il massimo da chi può dare di più. D’altro canto, aiuta i più sprovveduti. Nessuno dei 42 compagni di scuola può rimproverargli nulla. Mensilmente si ha anche una fitta corrispondenza con le Istituzioni pubbliche: si scrivono lettere ai Presidenti delle Province per ottenere supporti didattici di natura geografica e storica. Le Regioni sono ancora da istituire.
Mezz’ora prima della ‘sirena’, sia in quarta che in quinta classe, si è soliti leggere ad alta voce, a turno, passi del ‘Cuore’ di De Amicis e dei ‘Promessi Sposi’ di Manzoni. E via, le lacrime sulle gote di alcuni di noi. E’ segno che ha ancora posto, nell’animo umano, la ‘pietas’.
La televisione, in bianco e nero, non è ancora entrata in tutte le case. I computer non sono stati inventati. I libri li possiedono in pochi. Gli alunni più poveri (sono tanti) vengono a scuola con evidenti toppe nei pantaloni e con scarpe che sul davanti ‘aprono le fauci come coccodrilli. Molti grembiuli sono lucidi per usura. La sporcizia domina in più di uno.
Il direttore Michele Paloscia di Molfetta, ‘austero e sempre in grigio’, parla agli alunni attraverso un impianto di altoparlanti e incute timore solo a vederlo. Il segretario è il dr. Sabino Volpe, sempre impegnato tra montagne di carte e compiti d’ufficio. Alla ricreazione non tutti hanno il panino. Per i più consiste in un tozzo di pane raffermo, senza companatico. Per altri, fichi secchi o dolci fatti in casa.
Le figurine dei calciatori Panini sono allora prezioso divertimento insieme con le cinque pietruzze e i noccioli di albicocche. Si esce dalla scuola non appena Caiati suona la sirena. E, in fila per due, si marcia fino al primo chiosco sul viale alberato, al comando del capoclasse, il quale sotto l’occhio vigile del maestro e cadenzando la voce grida “Passo!, Passo!, Cadenza!”. Tutti noi dobbiamo militarmente marciare e battere il piede: una, due, tre volte, Una volta in villa, il capoclasse intima l’attenti e a gran voce esclama: “Salutate il signor maestro”. E noi rispondiamo: “Buongiorno, signor maestro”.
Solo allora si sciolgono le righe e noi siamo finalmente liberi di avviarci verso casa: si corre, si gioca, si raccolgono le ghiande per farne trottole, felici che un altro giorno di scuola è passato. Speriamo di diventare presto ‘grandi’! Nel 1968 sosteniamo le prove di esame, che non ci sembrano difficili perchè il maestro ci ha preparato attraverso una serie di esami-simulazione. Giugno è caldissimo. Le stagioni sono più marcate.
Il 5 giugno 1968 è ucciso Robert Kennedy, per cui le domande sugli Stati Uniti, sulla California, sulla Rivoluzione Americana, sulla Costituzione degli States sono più che scontate.
Il tema di italiano è il seguente: ‘L’Italia: Patria, una ed indivisibile, democratica e repubblicana, fondata sul lavoro. Dica l’alunno come si è giunti all’Unità d’Italia e quali prospettive ha la nazione per uno sviluppo sociale, culturale ed economico’. Potrebbe esser ancor oggi un tema di grande attualità!
Molti di noi, oggi, sono padri. Tutti ricordiamo il signor maestro con affetto e simpatia. Ovviamente, non soltanto per la sua lunga attività di educatore scolastico.
Terlizzi è cambiata. La scuola, pure. “Historia magistra vitae”, ci dicevi signor maestro. Condividiamo.
Un sincero cordiale grazie, caro maestro Vincenzo De Chirico che ci hai lasciati nell’agosto 2005.