Il 9 Maggio ricordiamo Aldo Moro, non solo la sua morte

Il 9 Maggio ricordiamo Aldo Moro, non solo la sua morte

di Gero Grassi – Parlamentare del Partito Democratico

“Noi non vogliamo essere gli uomini del passato, ma quelli dell’avvenire. Il domani non appartiene ai conservatori o  ai tiranni. E’ degli innovatori attenti, seri, senza retorica.”
Questo affermava Aldo Moro nel 1963, motivo per cui ricordarlo oggi a distanza di 32 anni dalla sua morte, non è un esercizio della retorica, né nostalgico rimembrare.
Nel 1946, quando si svolsero le prime elezioni politiche, si registrò una grande novità: per la prima volta in Italia votarono tutti i cittadini. Soprattutto, votavano le donne fino ad allora escluse. Il manifesto della Democrazia Cristiana dichiarava: “Se le donne avessero potuto votare prima, non ci sarebbe stata la guerra e il fascismo”.
Il manifesto del Partito Comunista affermava: “Le donne per la nuova famiglia e per il futuro dell’Italia”.
 


di Gero Grassi – Parlamentare del Partito Democratico

“Noi non vogliamo essere gli uomini del passato, ma quelli dell’avvenire. Il domani non appartiene ai conservatori o  ai tiranni. E’ degli innovatori attenti, seri, senza retorica.”
Questo affermava Aldo Moro nel 1963, motivo per cui ricordarlo oggi a distanza di 32 anni dalla sua morte, non è un esercizio della retorica, né nostalgico rimembrare.
Nel 1946, quando si svolsero le prime elezioni politiche, si registrò una grande novità: per la prima volta in Italia votarono tutti i cittadini. Soprattutto, votavano le donne fino ad allora escluse.
Il manifesto della Democrazia Cristiana dichiarava: “Se le donne avessero potuto votare prima, non ci sarebbe stata la guerra e il fascismo”.
Il manifesto del Partito Comunista affermava: “Le donne per la nuova famiglia e per il futuro dell’Italia”.
In quel periodo in Puglia il collegio elettorale era composto dalle province di Bari e Foggia. Si votava con la preferenza. In quel Collegio elettorale ci furono due grandi uomini, che duellarono democraticamente e politicamente.
Uno era Giuseppe Di Vittorio che sui palchi, parlava al cuore della gente. L’altro era Aldo Moro che in quelle stesse piazze parlava all’intelligenza e alla cultura dei cittadini, purtroppo in gran parte “incolti”, colpa della miseria e della guerra.
La gente era assetata di democrazia. Dopo vent’anni di repressione fisica e psicologica, andava nelle piazze per apprendere le “novità”, capire, conoscere.
Moro di cosa parlava?
Moro parlava di Stato etico, di diritto e morale, della eticità della politica. Scrivono La Gazzetta del Mezzogiorno dell’epoca: “Grandissima folla ai comizi di Moro. Tantissimi applausi, ma la gente non capisce”. Ed era logico che non capisse. Come faceva a capire l’ unità e la pluralità di reato? Come faceva a capire lo Stato etico, se dopo vent’anni di fascismo i cittadini pugliesi erano stati compressi nella cultura, nella possibilità di dialogare, nel confronto, nella democrazia?
Tuttavia riportano le cronache giornalistiche dell’epoca: “La gente, anche se non capisce quello che dice Moro, va via felice”.
La gente andava via felice perché le parole di Moro aprivano al futuro, davano prospettiva, creavano speranza. Insegnavano ai “cafoni” del sud che la democrazia, la peggiore democrazia è sempre la migliore forma di Governo rispetto ad una dittatura.
La gente andava via dai comizi contenta, perché capiva che il mondo stava cambiando e che da quel momento tutti avrebbero avuto la possibilità di competere nella società. Non soltanto i ricchi, i nobili o i benestanti. Questo era il senso che Moro trasferiva in quelle caldissime estati del 1946.
Ci sono due caratteristiche di Moro che hanno contraddistinto tutta la sua vita: una è la sacralità della persona, l’altra è la volontà di includere. Non di escludere! Lui ha fatto il centrosinistra, dopo il centrismo degasperiano e quando annunciò il centrosinistra con i socialisti di Nenni, disse: “Inserire nel circuito del potere quelli che ne sono ancora esclusi”. La sua volontà era sempre di comprendere, di inserire.
Moro non ha mai parlato di nemici. Ha parlato di avversari. Le persone – affermava – sono sempre le stesse, indipendentemente dalle parti nelle quali militano.
Nella preparazione e nei lavori della Costituzione Moro si impegnò soprattutto sui diritti delle persone. Si impegnò per ridare alla persona quei diritti che, come è scritto nella Costituzione, non sono concessi dallo Stato, ma sono riconosciuti dallo Stato.
Perché Moro volle che il termine fosse il riconoscimento e non la concessione dei diritti?
Perché quando c’è la concessione dei diritti, gli stessi possono essere pure tolti. Quando c’è il riconoscimento, i diritti non vengono dati né tolti, solo riconosciuti. I diritti – affermava –  non sono del cittadino, sono della persona. Moro si batté per affermare ciò e perché i diritti fossero riconosciuti dallo Stato.
Nella politica di Moro c’è la serietà dei comportamenti. C’è l’intuizione del futuro, c’è la volontà di far crescere tutti.
Quando Moro andò ad inaugurare l’Autostrada del Sole, la Napoli-Milano, disse che quella Autostrada serviva a collegare il sud povero, dimenticato, oltraggiato, al nord opulento e ricco.
Che cos’era la scuola per Moro? Durante il suo Governo la scuola italiana è passata dalla obbligatorietà della scuola elementare alla obbligatorietà della scuola media. Moro diceva che la scuola era la possibilità per il povero del sud o per il figlio dell’operaio del sud di competere culturalmente, in base alle sue possibilità, con il futuro e nel futuro.
Moro aveva della società non una visione statica ma una visione dinamica. Lavorava per dare a tutti la possibilità di fare un passo in avanti. La politica di Moro era finalizzata a questo.
Ecco che cosa ricordare a 32 anni dalla sua morte: modernità di pensiero, apertura verso gli altri, desiderio di una crescita culturale, senza la quale nessun popolo può andare incontro all’evoluzione.