Testamento Biologico

Testamento Biologico

 
di Gero Grassi
La legge sul Testamento Biologico è una legge sulla quale non possiamo attardarci, perché i cittadini chiedono con insistenza che si faccia chiarezza su una materia delicatissima ed aperta a variegate interpretazioni. Non possiamo partorire una legge frettolosa che manca di contemplare le attese etico-morali, strettamente connesse alla materia in oggetto.
L’articolo 32 della Costituzione Italiana recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…..   

di Gero Grassi
La legge sul Testamento Biologico è una legge sulla quale non possiamo attardarci, perché i cittadini chiedono con insistenza che si faccia chiarezza su una materia delicatissima ed aperta a variegate interpretazioni. Non possiamo partorire una legge frettolosa che manca di contemplare le attese etico-morali, strettamente connesse alla materia in oggetto.
L’articolo 32 della Costituzione Italiana recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Qualcuno ha pensato bene di strumentalizzare parte dell’art. 32, per avviare un percorso che può legalizzare l’eutanasia, che è dolce solo nel nome, non nella sostanza.
E’ vero che l’articolo 32 afferma che “Nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario, se non per disposizione di legge”, ma è altrettanto vero che nello stesso articolo si ribadisce che: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
L’articolo 32 è figlio dell’immediato dopoguerra. In quegli anni era necessario che la Costituzione offrisse ai cittadini strumenti giuridici, per tutelarsi dalle spaventose sperimentazioni, verificatesi nei campi di sterminio nazisti. L’articolo 32 è un inno alla vita ed uno strumento per tutelare la salute dei cittadini, non certo una porta aperta verso l’eutanasia.
Aldo Moro, che contribuì in maniera determinante alla stesura della Costituzione Italiana, il 28 gennaio 1947 in merito alla discussione nata intorno all’articolo 32 dichiarò: “Si vuol vietare che la legge, per considerazioni di carattere generale e di male intesa tutela degli interessi collettivi, disponga un trattamento (obbligatorio)…Si tratta di un problema di libertà individuale che non può essere garantito dalla Costituzione, quello cioè di affermare che non possono essere imposte obbligatoriamente ai cittadini, pratiche sanitarie, se non vi sia una disposizione legislativa…”.
Già nell’intento dei padri costituenti, quindi, per quanto vale tale criterio interpretativo, l’articolo 32 si dispose a baluardo della libertà individuale in ambito medico.
Aldo Moro nel discorso pronunciato in Assemblea Plenaria il 13 aprile 1947 ribadì: “Uno Stato non è veramente democratico se non è a servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità.”
Qualcuno sta tentando di strumentalizzare il pensiero di Aldo Moro estrapolando frasi da contesti ben più ampi. Chi conosce profondamente il pensiero dello statista pugliese, conosce anche la sua profonda religiosità, il suo rispetto per la persona prima ancora che per il cittadino, l’attenzione che aveva per le persone fragili e poco tutelate. “Ogni persona è un universo” aveva scritto nel 1947.
 Dichiarare, dunque, che l’onorevole Aldo Moro con le sue parole aveva lasciato presagire una propensione all’eutanasia, è una forzatura che non posso far passare. Lo dico a quanti sostengono questa tesi.
Nella analisi della Legge sul Testamento Biologico troppo spesso commettiamo l’errore di circoscrivere l’eutanasia nella sua modalità ‘attiva’.
Giovanni Paolo II, saggiamente, sottolineò che l’eutanasia è da scongiurarsi anche nelle forme indirette e passive. La definì in questi casi: “Azione o omissione, che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte allo scopo di eliminare ogni dolore”. (Evangelium Vitae 25/03/1995).
Partiamo da un postulato, secondo me, imprescindibile: ad ognuno la libertà di scegliere seguendo scienza e coscienza, ma avendo sempre un obiettivo: la tutela della vita!.
Per scegliere bisogna avere ben chiare le opzioni ed essere dotati degli strumenti per decidere. In tal senso il Parlamento deve lavorare, non nella direzione che può generare un percorso obbligato.  
Spero, pertanto,  che il Parlamento affronti questo argomento con la totale libertà di coscienza.
Auspico che i Partiti comprendano che ci sono materie sulle quali non si può chiedere comune sentire e cieca obbedienza. Il Testamento Biologico è uno di questi.
Ogni uomo ha nel suo background esperienze di vita differenti, convinzioni etico-religiose diverse, pertanto è difficile immaginare che un Partito risulti compatto nella discussione di una materia così complessa. Nessuno si meravigli, quindi, se nel Partito Democratico ci saranno posizioni differenti nella discussione. Ciò è legittimo. E’, altresì, doveroso, nel rispetto della libertà di coscienza.
La bioetica è una branca della politica, che va affrontata come sfida complessa e difficile, ma la si può vincere se affidata alla responsabilità personale.
La vita e la morte non sono e non possono essere incasellate in un puzzle comune a tutti, né affrontate come tematiche, con linee guida rispondenti ad un’appartenenza politica o partitica.  Ciascuno di noi ha alle spalle delle esperienze familiari o di vita che ne hanno determinato il carattere, ne hanno formato la coscienza. Su questi temi alcuni risulteranno più sicuri, altri più incerti, altri ancora fortemente determinati, frutto del percorso di crescita che per ognuno ha tempi diversi.
Immaginare di omogeneizzare tutto e tutti è assurdo.
La politica non può sostituirsi alla coscienza. Può aiutare a formare una coscienza matura e responsabile, ma senza legacci, senza costrizioni. Differentemente non si tratterebbe di aiuto ma di plagio.
Viviamo un periodo storico in cui tutto si consuma molto velocemente. Non si ha il tempo di ‘provare’ una determinata situazione, la si ‘indossa’ direttamente. E non sempre questo è un bene. Si può essere costretti a vivere mutamenti che ben presto si dimostrano opposti rispetto alle attese della vigila.
Nella società del progresso scientifico e tecnologico, tutto evolve con rapidità. Ma attenzione, non sempre ciò che è tecnicamente possibile è eticamente corretto. Per questo motivo le posizioni differenti, su una materia così delicata, vanno ascoltate e tenute in debita considerazione, per addivenire ad un risultato che sia l’optimum e non parte di esso.
Cosa accadrebbe sulla terra se non ci fossero limiti alla clonazione, che pure va considerato un progresso scientifico e tecnologico importante?
Credo che la risposta sia implicita e sta ad indicare che a tutto c’è un limite. La politica non può sostituirsi né alla scienza, né alla coscienza. Può invece coordinare un percorso di crescita che sia rispettoso delle leggi e degli uomini.
Entriamo nel merito della materia.  Condivido, come afferma la proposta di legge in esame, il fatto che nessuno possa essere messo nella condizione di morire di fame o di sete. Idratazione e nutrizione sono per me sostegni vitali, negarli equivale a generare morte. Nessuno può rimuovere, neppure per sentenza, idratazione e nutrizione, autorizzando di fatto l’eutanasia. Nessuno ha il diritto di togliere la vita ad un altro uomo. Nessuno deve essere legittimato a spegnere pian piano la fiammella che tiene in vita un uomo.
Che fine ha fatto il Giuramento di Ippocrate, se si chiede al medico di prendersi cura del malato avendo a sua disposizione l’eutanasia?
Il medico giura di salvare la vita umana con tutti i mezzi a sua disposizione, tentando ogni cura, ogni protocollo terapeutico. Se permettiamo la sospensione di idratazione e nutrizione avremo ignorato il giuramento di Ippocrate e generato una sorta di accanimento normativo rischioso, tanto quanto quello terapeutico, sottoponendo il paziente al calvario determinato dalla deprivazione.
La medicina è cura per mantenere salva la vita. Non capovolgiamo i presupposti fondamentali.
Il consenso informato, fino ad ora limitato, ai soli trattamenti diagnostici invasivi o agli interventi chirurgici, oggi viene esteso, ad ogni cura o atto medico, anche quelli appropriati e semplici e quelli definiti lex artis.
Il consenso informato deve essere reso dal paziente – la legge dice – in maniera consapevole e libera, pur sapendo che per giurisprudenza consolidata, il rapporto tra medico e paziente non è mai ritenuto paritario. Quindi, come tale, con un rischio di contenzioso, fondato sulla dipendenza dal bisogno del malato, nel momento cui si relaziona con il medico per la propria patologia. Ancora, il consenso informato, per essere dato, necessita da parte del medico di una spiegazione definita: completa, chiara, semplice, esaustiva e comparata. Non sfugge a nessuno che in questi termini sono insite le potenzialità per un futuro contenzioso, a prescindere dal livello di alfabetizzazione del paziente, nei riguardi delle cose che il medico riferisce.
Dal consenso informato scaturisce anche che il paziente può, giustamente, rifiutare tutti i trattamenti, come prevede l’art. 32 della Costituzione. Ma, attenzione, dopo questo presupposto si giunge alla dichiarazione anticipata di trattamento, dalla quale sono escluse l’idratazione e la nutrizione, che nel testo del Senato riguardava solo i pazienti che possiamo definire in coma irreversibile.
Il paziente con la DAT può rifiutare, oggi per il futuro, ogni trattamento, anche quelli lex artis. Il medico è chiamato a dare al paziente una puntuale informazione medico-clinica, affinchè decida con consapevolezza. Ma la contraddizione è insita. Spiego perché.
Su quali basi il medico darà spiegazioni per il futuro, per il quale gli eventi devono verificarsi, susseguirsi, accavallarsi e potenzialmente modificarsi?  Guardando forse in una sfera di cristallo?
Quale malattia esporrà il medico? Quali trattamenti spiegherà?   
Il cittadino interrogato, cosa rifiuterà come cura, non sapendo di che cosa si ammalerà?
Il paziente non ha la contestualizzazione degli eventi e non potrà, non sapendo di cosa si ammalerà, valutare quali trattamenti rifiutare, come non potrà neppure valutare per comparazione i trattamenti terapeutici possibili.
Con questo provvedimento la DAT sembra essere lo strumento con cui di norma il cittadino può rifiutare i trattamenti lex artis, se al comma 3, articolo 3, si è avuta la necessità di specificare che oltre ai trattamenti appropriati, il paziente può rifiutare anche i trattamenti sproporzionati e sperimentali.
Con questo testo viene introdotta la categoria della futura incapacità di intendere e di volere.
E’, forse, semplice definire l’incapacità di intendere e di volere, rispetto a fatti relazionali o per il compimento di atti amministrativi, ma come si stabilisce il rapporto che esiste fra l’essere e la coscienza che questo ha di sé, della propria vita? Chi è in grado di definire ciò? Come? Con quali dati oggettivi?
Che idea hanno della propria vita quei pazienti affetti da malattie cerebrali degenerative quali l’Alzheimer, l’atrofia corticale, che nelle fasi iniziali già danno incapacità di intendere e di volere permanente?
Alcuni nostri familiari possono trovarsi in questa situazione, ma noi nella quotidianità vediamo bene come vivono gli affetti e sappiamo che l’amore, in taluni casi, può più di qualunque cosa.
Che idea ha della propria vita un giovane che diventa incapace di intendere e di volere per una grave conseguenza postraumatica?
Che idea ha della propria vita ha un soggetto incapace di intendere e di volere per l’asportazione di un tumore al cervello?
Pensate veramente che questi pazienti, sottoscritta la DAT nei cinque anni precedenti, rinunciando a cure e terapie, possano sapere quale sarebbe stato il loro rapporto con la vita in quel momento? Pensate veramente che la loro scelta sia stata libera, consapevole e informata?
Tutto questo introduce un grave rischio di eutanasia passiva.
Certo, il testo di legge afferma che è vietata ogni forma di eutanasia.
È vero, l’eutanasia è sicuramente vietata nella fattispecie in cui è assimilabile agli articoli 575, 579 e 580 del codice penale. E’ inclusa l’eutanasia attiva, quella che cagiona la morte, mentre a mio avviso l’eutanasia passiva, che non è cagionare la morte ma omettere interventi, non viene vietata e trova nel testo possibilità concrete per essere realizzata.
Il fiduciario, chiamato a decidere per il paziente incapace di intendere e volere, deve garantire che il medico ometta quegli interventi, che possono cagionare, con azioni attive, la morte del paziente. Nel testo si specifica che, in presenza di grave complicanza o evento acuto insorto, la DAT non è presa in considerazione…ma tutte le procedure della DAT, la sua entrata in vigore o le frasi generiche: “grave complicanza o evento acuto”, aprono la via ad una discrezionalità, da parte dei medici, che non sarà più affidata alla scienza ed alla coscienza, ma alle paure giuridiche, ai rischi penali.
Per fare chiarezza, se l’assumere rilevanza della DAT, nei pazienti incapaci di intendere e di volere, non produce alcuna omissione di cura e di trattamento, scongiurando ogni rischio di eutanasia passiva, tanto vale toglierla dal testo in esame. Ma così non è. Quando la DAT, con l’insorgere dell’incapacità di intendere e di volere, assume rilevanza, con tutte le implicazioni giuridico-penali, il medico, insieme ai familiari, sarà condizionato, in tutti i giudizi sui trattamenti, e preoccupato di rendere i propri atti il più possibile omogenei alla legge, per evitare contenziosi penali.
Tutto questo genera in me la convinzione che dobbiamo riflettere molto attentamente o la cura, la salute, la vita e l’amore per il paziente, finiranno sotto le variabili interpretazioni della norma di legge, esponendoci al rischio di avere migliaia di sentenze, affidando ai giudici decisioni che non gli competono.
C’è una sentenza della Corte Costituzionale, n. 184 del 30 giugno 1986 che pur nella complessità della materia, fa chiarezza su tutto ciò. Nei fiumi di inchiostro versati si legge in riferimento alla precedente sentenza (n.88) del 1979 “Il bene afferente alla salute è tutelato, come diritto fondamentale della persona, direttamente dalla Costituzione, dichiara che la violazione di tal diritto, nel costituire illecito civile, determina, di per sé, il sorgere dell’obbligazione riparatoria…La lettera del primo comma dell’art. 32 della Costituzione, ce non a caso fa precedere il fondamentale diritto della persona umana alla salute all’interesse della collettività alla medesima, ed i precedenti giurisprudenziali, inducono a ritenere sicuramente superata l’originaria lettura in chiave esclusivamente pubblicistica del dettato costituzionale in materia…”
Per evitare di aprire il rischio di un’eutanasia passiva, ritengo necessario che il testo alla nostra  attenzione venga profondamente modificato, lasciando soltanto un’indicazione chiara per l’idratazione e la nutrizione ed il divieto dell’accanimento terapeutico, con la possibilità di rifiutare le cure sproporzionate o sperimentali, che potranno essere prese in considerazione solo se nuove scoperte saranno sopraggiunte dopo la redazione della DAT.
Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale, finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Pertanto, si comprende bene che esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento.
Non ho dubbio che la legge, nell’intenzione, serva a tutelare la vita e, quindi, non può non avere al centro anche la qualità della vita terminale, garantita dalle cure palliative e dalla terapia del dolore. Per questo, trovo sconcertante la ripetuta dizione che tutto questo debba essere svolto, senza oneri aggiuntivi per lo Stato. Cosa significa? Che intendiamo abbandonare a loro stessi, coloro i quali non hanno a disposizione risorse sufficienti per garantirsi un ‘fine vita dignitoso’?
Esprimo imbarazzo per la posizione assunta in tal senso dalla maggioranza, che dimostra ancora una volta, che sulle questioni sostanziali per la salute dei cittadini, chi legifera è la Commissione Bilancio, più che la Commissione Affari Sociali.
Ritengo che per fare chiarezza su questa materia, non servano fiumi di parole, ma una legge di buon senso, chiara e snella, che guardi al malato come ad una persona da salvare e non ad un peso di cui nessuno vuol farsi carico.
Prima di concludere voglio citare la sentenza delle Corte Costituzionale n. 184 del 30 giugno 1986. Presidente della Corte era il prof. Livio Paladin, relatore il prof. Renato Dell’Andro, già allievo di Aldo Moro, Docente di Filosofia del diritto e Diritto penale al’Università di Bari.
La sentenza, nel combinato disposto dell’art. 32 Costituzione. e dell’art. 2043 Codice Civile, pone in essere l’effettiva tutela giuridica del bene salute e conferisce al danno biologico lo status di ‘tertium genus’ rispetto ai danni patrimoniale e morale derivanti da reato.
Il danno biologico, chiamato così per la prima volta proprio in questa sentenza, diventa evento costitutivo della lesione, quindi insito nella medesima: in altre parole, la prova della lesione è, in re ipsa, prova dell’esistenza del danno biologico.
Il danno patrimoniale ed il danno morale, invece, assumono la connotazione di danni-conseguenza, ulteriori rispetto al danno biologico. Ai fini del risarcimento, quindi, il soggetto danneggiato ha l’onere di provare solo la perdita di tutte le attività afferenti alla sua persona, che non abbiano natura patrimoniale e che siano suscettibili di valutazione equitativa da parte del giudice, secondo il combinato disposto degli artt. 2056 e 1223 Codice Civile. Al contrario, il bene giuridico salute e la sua tutela non necessitano di alcuna prova, trovando garanzia nell’art. 32 della Costituzione.
Appare chiaro, quindi, come la ‘sentenza Dell’Andro’ (dal nome del Giudice Costituzionale che ne ha esteso il testo) abbia sdoganato il concetto di danno biologico che, d’ora in avanti, sarà esplicitamente considerato ‘danno ingiusto’, ai sensi del combinato disposto artt. 2043 c.c. e art. 32 Cost.
Si veda, a tal proposito, la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 11164/90.
Ha aperto la strada ad una diversa definizione del bene salute, nella cui accezione, d’ora in avanti, saranno comprese tutte le ‘funzioni naturali afferenti al soggetto nel suo ambiente e aventi rilevanza biologica, sociale, culturale ed estetica, oltre che economica’ (Cass. Sez. Lav. n. 7101/90).
La sentenza si costituisce come punto fondamentale e come espressione più completa, rilevante ed elaborata della giurisprudenza italiana in materia di danno alla persona, elemento di ampia discussione e dibattito e confronto in quel decennio, ponendosi come punto di rielaborazione di prospettiva delle sentenze precedenti della Corte Costituzionale stessa (sentenze n.87 e 88 del 1979; che evidenziavano comunque una portata innovativa importante ma limitata dall’erronea qualificazione del danno alla salute come danno patrimoniale, successivamente corretta con la sentenza in analisi ) e come raggiunto punto di incontro con la giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di trattamento del danno biologico.
‘Il riconoscimento del diritto alla salute come fondamentale diritto della persona umana, comporta il riconoscimento che l’art. 32 Cost. integra l’art. 2043 c.c. completandone il concetto primario’.
Tutto ciò detto, ne deriva come interpretazione naturale che la Costituzione e le leggi successive poggiano sul concetto di vita anche dell’art.32.
 
Bari 29 Aprile 2011