L’INDRO – Grassi: “Un Paese che non conosce la propria storia è un Paese senza anima”

L’INDRO – Grassi: “Un Paese che non conosce la propria storia è un Paese senza anima”

L’INDRO – APPROFONDIMENTO QUOTIDIANO INDIPENDENTE

 
Le zone d’ombra del sequestro di Aldo Moro
Grassi: “Un Paese che non conosce la propria storia è un Paese senza anima”
 
Dopo trentacinque anni, è stato proposto di creare una commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro di Aldo Moro. Gianclaudio Bressa, relatore del provvedimento, ritiene che aprire una nuova indagine sia necessario, dal momento che «oggi sono emersi elementi di novità che riguardano azioni e omissioni e che ruotano sul sospetto, sempre più connotato da certezza, che la morte di Moro poteva essere evitata».
Infatti, secondo il magistrato Ferdinando Imposimato, che ha recentemente scritto il libro ‘I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia. Perché Aldo Moro doveva morire? La storia vera‘, le zone d’ombra intorno alla morte di Aldo Moro sono numerose. In primo luogo, «c’erano dei documenti scritti dai componenti del Comitato di crisi, istituito da Andreotti e Cossiga. Queste relazioni hanno portato alla luce come il comportamento del suddetto comitato fosse rivolto a portare le Brigate Rosse ad uccidere Moro». A confermare la validità di questa tesi, oltre ai documenti, sono le dichiarazioni di Steve Pieczenik – all’epoca funzionario della sezione antiterrorismo del dipartimento di Stato americano e braccio destro del Sottosegretario di Stato Henry Kissinger – rilasciate al giornalista francese Emmanuel Amara. Pieczenik ha infatti ammesso di avere elaborato un piano per spingere le Brigate Rosse ad uccidere Aldo Moro…

L’INDRO – APPROFONDIMENTO QUOTIDIANO INDIPENDENTE

 
Le zone d’ombra del sequestro di Aldo Moro
Grassi: “Un Paese che non conosce la propria storia è un Paese senza anima”
 
Dopo trentacinque anni, è stato proposto di creare una commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro di Aldo Moro. Gianclaudio Bressa, relatore del provvedimento, ritiene che aprire una nuova indagine sia necessario, dal momento che «oggi sono emersi elementi di novità che riguardano azioni e omissioni e che ruotano sul sospetto, sempre più connotato da certezza, che la morte di Moro poteva essere evitata».
Infatti, secondo il magistrato Ferdinando Imposimato, che ha recentemente scritto il libro ‘I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia. Perché Aldo Moro doveva morire? La storia vera‘, le zone d’ombra intorno alla morte di Aldo Moro sono numerose. In primo luogo, «c’erano dei documenti scritti dai componenti del Comitato di crisi, istituito da Andreotti e Cossiga. Queste relazioni hanno portato alla luce come il comportamento del suddetto comitato fosse rivolto a portare le Brigate Rosse ad uccidere Moro». A confermare la validità di questa tesi, oltre ai documenti, sono le dichiarazioni di Steve Pieczenik – all’epoca funzionario della sezione antiterrorismo del dipartimento di Stato americano e braccio destro del Sottosegretario di Stato Henry Kissinger – rilasciate al giornalista francese Emmanuel Amara. Pieczenik ha infatti ammesso di avere elaborato un piano per spingere le Brigate Rosse ad uccidere Aldo Moro, piano di cui il presidente Giulio Andreotti e il Ministro dell’Interno Francesco Cossiga erano informati e complici.
«A tutto questo si sommano le testimonianze di alcuni Gladiatori – continua Imposimato –. Essi hanno dichiarato che era stato organizzato un blitz per liberare Moro e che doveva essere eseguito l’8 maggio del 1978. Questi uomini coraggiosi, agli ordini del generale Carlo Alberto dalla Chiesa e del commissario Pasquale Schiavone, erano pronti a intervenire ma, secondo le loro affermazioni, a bloccare le operazioni, è arrivato un contrordine del Ministro Cossiga». A tutti questi dati si somma anche un dossier relativo a un agente del KGB, Sergeij Sokolov, che avrebbe pedinato Moro per quattro mesi e che, a sua volta, i servizi segreti italiani seguivano, tenendo informato il Ministro Cossiga. Infine «c’è la testimonianza dell’artificiere Vitantonio Raso, che ha dichiarato di avere trovato il corpo di Aldo Moro tre ore prima che venissero avvertiti i famigliari della vittima e le autorità. Raso ha detto che Cossiga sembrava sapere che il cadavere di Moro fosse in quell’auto» sostiene Imposimato.
Alla luce di tutte queste nuove prove, il magistrato ritiene che «di cose da fare e da dire ce ne siano parecchie» e dichiara quindi di essere convinto che «la commissione parlamentare d’inchiesta farà tutto il possibile per accertare la verità». Per Imposimato, infatti, questa non è solo una questione giudiziaria, ma «è anche di carattere storico. Vogliamo sapere che cosa è accaduto intorno ad Aldo Moro, perché riteniamo che, senza conoscere il passato, non sia possibile capire il presente e prevedere il futuro».
Dello stesso parere è anche l’onorevole Gero Grassi, vicepresidente del gruppo Pd (Partito Democratico) alla Camera, che ritiene che sia necessario restituire la verità agli italiani, chiarendo i fatti che concorsero al sequestro e all’omicidio di Aldo Moro, un avvenimento storico di primo piano per il nostro paese. Così si è deciso di istituire una commissione parlamentare che si occupi di fare chiarezza sulla vicenda Moro. «La proposta, condivisa da tutti i gruppi, prevede che i lavori della commissione, composta da trenta deputati, siano conclusi entro diciotto mesi dal suo insediamento, la presentazione di una relazione sulle risultanze delle indagini, e quantifica le spese per il suo funzionamento in 30.000 euro l’anno, ponendole a carico del bilancio interno della Camera: per i commissari nessun contributo aggiuntivo» dichiara Grassi.
 
Perché, dopo 35 anni, diversi processi e commissioni d’inchiesta parlamentari, è necessario aprire una nuova commissione d’inchiesta sul caso Moro? Quali elementi di novità sul sequestro Moro lo hanno reso necessario?
Le commissioni parlamentari, fino ad ora, non hanno riscontrato l’intera verità. Molti punti sono oscuri. Noi, come classe politica, abbiamo il dovere, verso i giovani e le nuove generazioni, di scrivere la verità storica rispetto all’evento più drammatico della storia della Repubblica. Per questo abbiamo deciso di proporre di istituire una nuova commissione, che si occupi del caso Moro.
Parliamo dei lavori delle precedenti commissioni. Come giudica quel lavoro e che cosa non ha funzionato nel chiarire totalmente il caso Moro?
La responsabilità non è delle commissioni, ma delle reticenze di alcuni brigatisti, pensi a Moretti, e delle non verità di elementi dello Stato, come per esempio Cossiga.
La verità in una vicenda così complicata, come il caso Moro, non viene a galla immediatamente. Gli anni aiutano a scoprire elementi di grande novità. Che cosa va chiarito ancora? Vanno chiariti soprattutto gli ultimi cinque giorni del rapimento di Aldo Moro, che rappresentano il periodo caratterizzato dalla maggiore nebulosità. Basti pensare alla mancata liberazione di Moro, che Cossiga e il Vaticano aspettavano, mentre la vicenda si è conclusa improvvisamente con l’omicidio del sequestrato.
Va chiarito meglio anche un altro punto: le Brigate Rosse erano solo Brigate Rosse? Secondo me, la risposta è negativa. Infatti le Brigate Rosse sono state aiutate direttamente e indirettamente dai servizi segreti italiani deviati, che facevano riferimento alla P2, e dai servizi segreti stranieri – pensi al KGB o al Mossad – che avevano necessità contrapposte. Infine sono stati aiutati dalle omissioni internazionali di stati esteri come il Regno Unito, la Bulgaria e gli Stati Uniti.
Tra le altre cose, bisognerebbe ancora fare luce su quando è avvenuto l’omicidio di Aldo Moro, a che ora precisa e chi l’ha effettuato. L’assassino è Gallinari, come si dice, o è stato qualcun altro? Dove è stato ucciso Moro? Nel covo o su un arenile o, come sostiene qualcuno, in via Caetani?
Quindi c’è ancora molto da chiarire. Certamente, chi è attento al caso Moro, si rende conto che la verità completa non è emersa.
Il clima politico di oggi crede che possa favorire un percorso di chiarezza sulla vicenda?
Papa Bergoglio da un lato, la caduta del comunismo dall’altra e l’apertura di noti archivi internazionali sono fattori che partecipano a un clima che favorirà l’emissione di ulteriori novità sul caso Moro.
Possiamo ritenere che questa commissione sarà favorita nel proprio lavoro dal fatto che diverse figure politiche, che molto avevano a che fare con il caso Moro, come Andreotti e Cossiga, non siano più presenti in Parlamento?
Purtroppo credo di no. Andreotti e Cossiga qualche verità sul caso Moro se la sono portata nella tomba. Non perché essi abbiano contribuito ad ucciderlo, ma perché ritengo che in quel periodo si siano registrate gravi omissioni da parte dello Stato. Soprattutto perché, i servizi segreti italiani in quel periodo, cosa di cui siamo arrivati a conoscenza solo in seguito, erano diretti da uomini che facevano riferimento alla P2. Io auspicherei che, anche se da morti, Cossiga e Andreotti ci trasmettano indirettamente, tramite i loro archivi, ulteriori verità sul caso Moro.
Perché non lasciare lavorare la Magistratura, perché se ne vuole occupare il Parlamento? Ritiene che il Parlamento possa arrivare dove non è ancora arrivata la Magistratura?
La Magistratura e il Parlamento fanno mestieri diversi: la prima cerca la responsabilità giudiziaria, il secondo la verità storica. La commissione d’inchiesta sul caso moro, non sostituisce la Magistratura nella sua funzione, ma ha un altro obiettivo. Io non sono interessato, attraverso alla Commissione, a mandare in prigione l’ultimo brigatista responsabile del caso Moro, non è compito mio. Io sono interessato a conoscere la verità storica.
Tenga anche presente che le due verità non sempre collimano. Io sono interessato a capire il “perché” di questi eventi. Vorrei capire se, come alcuni dicono, nella prigione di Moro è entrato qualcuno. Un fatto del genere, dopo trentacinque anni, alla Magistratura non interessa. A me invece, storicamente, un fatto del genere direbbe tante cose.
Di quali strumenti potrà usufruire la Commissione per fare chiarezza su questa vicenda?
Se la commissione ritiene di dover invitare alcune persone a relazionare su determinati aspetti della vicenda Moro, essa può imporre loro di presentarsi. Inoltre possiamo avere accesso agli atti riservati. Questo significa avere la possibilità di leggere e studiare documenti che gli storici e coloro che scrivono libri sul tema non hanno ancora potuto vedere.
Quanto ha influito il recente libro di Ferdinando Imposimato sulla proposta di istituire questa terza commissione sull’affare Moro?
Non ha potuto influire, perché abbiamo iniziato l’iter di istituzione della Commissione prima che il giudice Imposimato pubblicizzasse il libro. Abbiamo cominciato prendendo le firme dei membri di tutti i partiti presenti in Parlamento perché, nonostante siano passati trentacinque anni, l’emozione che suscita questo caso è palpabile nella società, come in Parlamento. Me ne sono accorto il 9 maggio, data che ricorre ogni anno e che ogni anno mette gli attenti osservatori della politica italiana nella condizione di chiedersi perché sia avvenuto quel sequestro e perché Moro sia stato infine ucciso. Il libro di Imposimato inferisce ulteriori elementi di riflessione, che vanno accertati, e che, se fossero veri, direbbero tanto riguardo le responsabilità istituzionali nella vicenda Moro. Ma su questo è la Magistratura che indaga.
Nella fase di criticità che il Paese sta attraversando, crede che l’opinione pubblica capisca la necessità di questa Commissione? Come risponde a chi obietta che in questo momento sarebbe ben più urgente che il Parlamento si occupasse di altri temi – dalla giustizia, alla legge elettorale, alle riforme economiche – che non di una vicenda di decenni fa?
La Commissione Moro non incide negativamente sulla riforma della giustizia, sull’approvazione della legge elettorale o sulla legge di stabilità. Una Commissione di indagine parlamentare non ha nessun costo aggiuntivo. Noi lavoriamo con lo stesso stipendio, sia che lavoriamo un’ora o dieci ore. Analogamente, l’attività della commissione non è sostitutiva di quella legislativa, ma è aggiuntiva. Per cui non toglie nulla al normale svolgimento delle attività parlamentari, è un lavoro in più.
Secondo lei, qual è il beneficio più grande che il lavoro di questa Commissione può portare al Paese?
Un Paese che non conosce la propria storia è un paese senza anima, senza passione e morto dentro. La verità contribuisce alla ricchezza interiore dei popoli. Il problema ora è: saremo in grado di arrivare alla verità? Rivolgo quindi un appello a tutti quelli che possono aiutarci, perché noi non siamo i depositari della verità, ma la dobbiamo cercare. Coloro che siano a conoscenza di qualcosa che possa essere d’ausilio a fare chiarezza sul caso, sono invitati a collaborare, anche in modo privato, perché la verità arricchirà il popolo italiano.
Nel riformare il Parlamento e la costituzione, crede che si dovrebbe ripensare anche all’articolo 82 della Costituzione, quello che attribuisce al Parlamento anche la funzione di indagare «con gli stessi poteri e le stesse limitazioni della Autorità giudiziaria»?
Io credo che il Parlamento debba conservare questa funzione e, se fosse per me, allargherei questo potere. Le indagini storiche non riguardano sempre gli omicidi. È stata fatta, per esempio, un’indagine sul disastro del Vajont e, negli anni Cinquanta, una sulla povertà. Molte volte i poteri del Parlamento, per capire certi fenomeni sociali, sono la base su cui poi vengono approvate leggi finalizzate a risolvere questi problemi e ad evitare che si ripresentino. Quindi, da questo punto di vista, amplierei le funzioni del Parlamento.