09 Lug LA NUOVA CITTA’ – PD, vincono i signori delle tessere
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in Rassegna stampa
PD, “VINCONO I SIGNORI DELLE TESSERE”
Il segretario Mario De Leo succede a se stesso
di Marco Cagnetta
Si è celebrato a Terlizzi il congresso sezionale del Partito Democratico (Pd). Sono state proposte ben tre mozioni politiche. La mozione non è altro che il prato politico-strategico finalizzato a conseguire un risultato empatico con i sostenitori del partito. Votano i tesserati del partito attivi (elettori ed eleggibili) che hanno un’anzianità di almeno un anno, mentire i tesserati passivi (solo eleggibili) non votano avendo un’anzianità inferiore a un anno. Il segretario è eletto con la lista che supera il 50% dei voti, in caso contrario, questi è eletto direttamente dall’assemblea, a sua volta eletta proporzionalmente con i voti delle singole liste collegate a ogni mozione. Le liste sono state concepite con il metodo bloccato, cioè sono eleggibili i candidati partendo dal primo in lista in poi, ovvero non ci sono le preferenze ma i titoli” (ormai è il solo metodo in voga nella democrazia partecipata moderna!) a tutto beneficio della famigerata legge elettorale dello Stato italiano per l’elezione delle Camere di deputati e senatori: “porcellum’, tanto criticata quanto utilizzata, cosi come appare.
Il clima politico che si respirava all’inizio del congresso era tutt’altro che tranquillo. Gli sguardi s’incrociavano sospetto- si tra le diverse fazioni. Accanto alla nomina degli organi statutari in predicato, in realtà è in gioco l’essenza della politica nella sua parte che è patologia: il potere fine a se stesso. Ben presto si entra nel merito con la nomina del presidente dell’assemblea: il consigliere comunale Pasquale Adamo. Ecco che si arriva al punto critico: la presentazione delle mozioni politiche. Perché è qui che si capisce la ragione del mancato accordo anche a livello locale sulla gestione unitaria del partito. La prima mozione, sostenuta dagli ex Ds (capeggiati dal sindaco e dal consigliere Alfio Giuga) e da una cospicua parte dell’ex Margherita in aperto contrasto con l’on. Grassi (capeggiata dal segretario uscente Mario De Leo e dal solito Peppino De Chirico, annoverando illustri adepti: gli assessori Santina Mastropasqua e Felice De Sano; i consiglieri comunali Tommaso Malerba e Pasquale Adamo), si esprime per la riconferma del segretario politico uscente. E questo lo fa evocando i successi ottenuti con la sua gestione del partito e invocando, quale percorso ottimizzante, il mix delle esperienze dei meno giovani con la vitalità e l’entusiasmo dei più giovani. La seconda mozione, sostenuta dagli ex socialisti che si richiamano al presidente del Consiglio Aldo Sigrisi e da una parte che si richiama al consigliere Leonardo De Vanna, pur apprezzando i passi mossi dal partito, ravvisa una necessità quasi ancestrale di un effettivo rinnovo e rinvigorimento della classe dirigente. Affermando peraltro, che la riconferma del segretario uscente sarebbe la negazione di se stessi, perché palesemente in contrasto con l’immagine che il partito nazionale intende darsi, alimentando inoltre, per una sorta di cristallizzazione della dirigenza politica, il rischio di operazioni gattopardesche
di qualche inossidabile camaleonte.
Per tutto ciò propone un proprio candidato alla segreteria: l’avv. Pina Caldarola, valente professionista ma anche giovane anagraficamente con un’adeguata esperienza politica. La terza mozione presenta un giovanissimo: Nicolò Marino Ceci, sostenuto dal circolo “Quarta fase” (punto logistico degli amici dell’on. Grassi). Si capisce subito che è una mozione di rottura perché, presentata dallo stesso candidato, un lunghissimo concentrato di proteste e denunce politiche, ma soprattutto come a voler dire tutto ciò che non si è mai riusciti a dire, perdendosi nello scontro frontale e fornendo l’assist a chi premeditava una veloce conclusione del congresso, ritenendolo una futile perdita di tempo. Si susseguono alcuni interventi volti più a rafforzare le proprie posizioni che a intavolare una discussione franca e matura, che si addice a un congresso politico che vuole gettare le basi per migliorare la propria azione. Terminano i lavori nell’ordine: il sindaco e il presidente del Consiglio comunale. Sono questi gli interventi più interessanti perché il sindaco Vincenzo di Tria non lesina gli appelli all’unità d’intenti dell’intero partito, forse perché preoccupato dei riverberi sulla compagine amministrativa, mentre il presidente del Consiglio comunale Aldo Sigrisi ribadisce e rincara la dose sulla necessità di un oggettivo rinnovo della classe dirigente di quel partito, poiché è percepito all’esterno come un partito chiuso e in balia di qualche scoria della prima Repubblica. Ma tutto ciò lo fa non risparmiando se stesso, fornendo per questo un esempio di umiltà e attaccamento al partito, ovviamente con il beneficio di un rigoroso politichese che in ogni caso non deprime lo sforzo, forse l’unico, di offrire uno spaccato politico, altrimenti oggettivamente povero nell’occasione.
Segretario è riconfermato Mario De Leo, con il 65 % dei voti congressuali. I commenti all’esterno del seggio raccontano qualche retroscena, ma soprattutto prende piede l’amara constatazione che vincono i “signori delle tessere” (nello stile della peggiore DC degli anni Ottanta- Novanta) a danno di chi è veramente rappresentativo nella città. Sono questi i fatti.
Qualche riflessione. Sono datate le denunce fatte su queste pagine e risalgono alla fase subito successiva alle primarie del 2007. Fu in quella circostanza, attraverso un accordo politico, che il neoeletto segretario fu nominato e che oggi succede a se stesso. Ricordo mille giustificazioni per quella scelta inadeguata sin da allora. Sembrava che egli assicurasse le competenze e la personalità più forte per gestire un momento di transizione come allora, perché il Pd, nascendo sulle ceneri della Margherita, dei Ds e dei Socialisti autonomisti, aveva bisogno di segnare il cambiamento e la discontinuità con la politica politicante, per rappresentare una società complessa come la nostra in modo assolutamente adeguata ai suoi bisogni. Mi pregio di aver assimilato il Pd, già in quella circostanza, al mitologico mostro a sei teste:
“Scilla” e non mi sbagliavo. Oggi come allora il segretario politico non rappresenta la sintesi della partecipazione politica, ma la sintesi di un accordo squisitamente di potere. La testa vincente di “Scilla” ha già mangiato qualche succosa altra testa di se stessa (solo cosi si spiegano le distanze dei due consiglieri comunali eletti nel Pd notoriamente vicini all’on. Grassi: Michele Grassi e Paolo Ceci) e penso che si stia preparando ad assaporarne altre, tanto più appetitose quanto più rappresentative del dissenso alla precostituita struttura decisionale.
In città si racconta che esiste una sorta di nucleo o cupola decisionale che se fosse lievito per questa città, pur non apprezzando il metodo, sarebbe per assurdo un male necessario. Risulta invece che tale fattuale sistema decisionale produca tutt’altri esiti. Questo congresso del Pd è la più eloquente espressione del sistema dei legacci che ha imbrigliato il Pd e l’intera città. Dire che le sue sorti siano nelle mani del sindaco sarebbe persino banale, invece sembra essere proprio così. Ove fosse una persona libera, basterebbe un atto di coraggio per azzerare tutto e andare a casa, sarebbe un’azione persino eroica, salutare per la città e soprattutto per se stesso.
La democrazia è vita ma anche morte. Con questa interpretazione della democrazia si può solo morire dentro.
Il clima politico che si respirava all’inizio del congresso era tutt’altro che tranquillo. Gli sguardi s’incrociavano sospetto- si tra le diverse fazioni. Accanto alla nomina degli organi statutari in predicato, in realtà è in gioco l’essenza della politica nella sua parte che è patologia: il potere fine a se stesso. Ben presto si entra nel merito con la nomina del presidente dell’assemblea: il consigliere comunale Pasquale Adamo. Ecco che si arriva al punto critico: la presentazione delle mozioni politiche. Perché è qui che si capisce la ragione del mancato accordo anche a livello locale sulla gestione unitaria del partito. La prima mozione, sostenuta dagli ex Ds (capeggiati dal sindaco e dal consigliere Alfio Giuga) e da una cospicua parte dell’ex Margherita in aperto contrasto con l’on. Grassi (capeggiata dal segretario uscente Mario De Leo e dal solito Peppino De Chirico, annoverando illustri adepti: gli assessori Santina Mastropasqua e Felice De Sano; i consiglieri comunali Tommaso Malerba e Pasquale Adamo), si esprime per la riconferma del segretario politico uscente. E questo lo fa evocando i successi ottenuti con la sua gestione del partito e invocando, quale percorso ottimizzante, il mix delle esperienze dei meno giovani con la vitalità e l’entusiasmo dei più giovani. La seconda mozione, sostenuta dagli ex socialisti che si richiamano al presidente del Consiglio Aldo Sigrisi e da una parte che si richiama al consigliere Leonardo De Vanna, pur apprezzando i passi mossi dal partito, ravvisa una necessità quasi ancestrale di un effettivo rinnovo e rinvigorimento della classe dirigente. Affermando peraltro, che la riconferma del segretario uscente sarebbe la negazione di se stessi, perché palesemente in contrasto con l’immagine che il partito nazionale intende darsi, alimentando inoltre, per una sorta di cristallizzazione della dirigenza politica, il rischio di operazioni gattopardesche
di qualche inossidabile camaleonte.
Per tutto ciò propone un proprio candidato alla segreteria: l’avv. Pina Caldarola, valente professionista ma anche giovane anagraficamente con un’adeguata esperienza politica. La terza mozione presenta un giovanissimo: Nicolò Marino Ceci, sostenuto dal circolo “Quarta fase” (punto logistico degli amici dell’on. Grassi). Si capisce subito che è una mozione di rottura perché, presentata dallo stesso candidato, un lunghissimo concentrato di proteste e denunce politiche, ma soprattutto come a voler dire tutto ciò che non si è mai riusciti a dire, perdendosi nello scontro frontale e fornendo l’assist a chi premeditava una veloce conclusione del congresso, ritenendolo una futile perdita di tempo. Si susseguono alcuni interventi volti più a rafforzare le proprie posizioni che a intavolare una discussione franca e matura, che si addice a un congresso politico che vuole gettare le basi per migliorare la propria azione. Terminano i lavori nell’ordine: il sindaco e il presidente del Consiglio comunale. Sono questi gli interventi più interessanti perché il sindaco Vincenzo di Tria non lesina gli appelli all’unità d’intenti dell’intero partito, forse perché preoccupato dei riverberi sulla compagine amministrativa, mentre il presidente del Consiglio comunale Aldo Sigrisi ribadisce e rincara la dose sulla necessità di un oggettivo rinnovo della classe dirigente di quel partito, poiché è percepito all’esterno come un partito chiuso e in balia di qualche scoria della prima Repubblica. Ma tutto ciò lo fa non risparmiando se stesso, fornendo per questo un esempio di umiltà e attaccamento al partito, ovviamente con il beneficio di un rigoroso politichese che in ogni caso non deprime lo sforzo, forse l’unico, di offrire uno spaccato politico, altrimenti oggettivamente povero nell’occasione.
Segretario è riconfermato Mario De Leo, con il 65 % dei voti congressuali. I commenti all’esterno del seggio raccontano qualche retroscena, ma soprattutto prende piede l’amara constatazione che vincono i “signori delle tessere” (nello stile della peggiore DC degli anni Ottanta- Novanta) a danno di chi è veramente rappresentativo nella città. Sono questi i fatti.
Qualche riflessione. Sono datate le denunce fatte su queste pagine e risalgono alla fase subito successiva alle primarie del 2007. Fu in quella circostanza, attraverso un accordo politico, che il neoeletto segretario fu nominato e che oggi succede a se stesso. Ricordo mille giustificazioni per quella scelta inadeguata sin da allora. Sembrava che egli assicurasse le competenze e la personalità più forte per gestire un momento di transizione come allora, perché il Pd, nascendo sulle ceneri della Margherita, dei Ds e dei Socialisti autonomisti, aveva bisogno di segnare il cambiamento e la discontinuità con la politica politicante, per rappresentare una società complessa come la nostra in modo assolutamente adeguata ai suoi bisogni. Mi pregio di aver assimilato il Pd, già in quella circostanza, al mitologico mostro a sei teste:
“Scilla” e non mi sbagliavo. Oggi come allora il segretario politico non rappresenta la sintesi della partecipazione politica, ma la sintesi di un accordo squisitamente di potere. La testa vincente di “Scilla” ha già mangiato qualche succosa altra testa di se stessa (solo cosi si spiegano le distanze dei due consiglieri comunali eletti nel Pd notoriamente vicini all’on. Grassi: Michele Grassi e Paolo Ceci) e penso che si stia preparando ad assaporarne altre, tanto più appetitose quanto più rappresentative del dissenso alla precostituita struttura decisionale.
In città si racconta che esiste una sorta di nucleo o cupola decisionale che se fosse lievito per questa città, pur non apprezzando il metodo, sarebbe per assurdo un male necessario. Risulta invece che tale fattuale sistema decisionale produca tutt’altri esiti. Questo congresso del Pd è la più eloquente espressione del sistema dei legacci che ha imbrigliato il Pd e l’intera città. Dire che le sue sorti siano nelle mani del sindaco sarebbe persino banale, invece sembra essere proprio così. Ove fosse una persona libera, basterebbe un atto di coraggio per azzerare tutto e andare a casa, sarebbe un’azione persino eroica, salutare per la città e soprattutto per se stesso.
La democrazia è vita ma anche morte. Con questa interpretazione della democrazia si può solo morire dentro.