La manovra economica correttiva

La manovra economica correttiva

LA MANOVRA ECONOMICA CORRETTIVA
 (decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78 A.S. 2228)

Il giudizio sull’impianto della manovra finanziaria correttiva è ampiamente negativo: è iniqua, squilibrata, al di sotto delle necessità del Paese e certifica, in via definitiva, l’incapacità e lo stato di confusione del Governo nella gestione della finanza pubblica e l’assenza di qualsiasi idea di politica economica anticiclica in grado di sostenere le famiglie e il sistema produttivo a fronte della grave crisi economica in corso.
Nell’articolato della manovra non vi è traccia di misure di carattere strutturale, tali da garantire un duraturo risanamento dei conti pubblici. Alcuni interventi hanno un effetto depressivo sui consumi e riducono la capacità di risparmio delle famiglie, altri hanno un impatto negativo sulla capacità di investimento complessivo del sistema Paese. In sostanza, una manovra recessiva che aggredisce e depotenzia i fattori fondamentali alla base della crescita economica del nostro sistema produttivo….
 

 

 
LA MANOVRA ECONOMICA CORRETTIVA
 (decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78
A.S. 2228)
 
 
 
 
                                                                
 
 
 
 
Giugno 2010


Indice
 
1.              Introduzione                                                                                         p. 1
2.              Le cause della manovra correttiva.                                           p. 3
           Lo stato dell’economia, dei conti pubblici
           e la crisi dei mercati finanziari
3.              I numeri della manovra                                                                   p. 7
4.              I contenuti della manovra                                                              p. 9
a)      riduzione dei costi degli apparati politici              p. 9
b)      riduzione del perimetro e del costo della pa         p. 10
c)       riduzione delle risorse per regioni ed enti locali p. 14
d)      contenimento delle spese per l’impiego pubblico,            p. 17
la sanità, l’invalidità e le pensioni
-         Pubblico Impiego
-         Invalidità civile
-         Pensioni e TFR
-         Riduzione della spesa del settore sanitario
-         Controllo della spesa sanitaria
-         Contenimento della spesa farmaceutica
e)       misure di maggiori entrate                                       p. 24
-         Lotta all’evasione fiscale
-         Pedaggi autostradali
f)misure di sviluppo                                                          p. 27
5.         Conclusioni                                                                                              p. 29
 


LA MANOVRA ECONOMICA CORRETTIVA
  
1. Introduzione
 
Il giudizio sull’impianto della manovra finanziaria correttiva è ampiamente negativo: è iniqua, squilibrata, al di sotto delle necessità del Paese e certifica, in via definitiva, l’incapacità e lo stato di confusione del Governo nella gestione della finanza pubblica e l’assenza di qualsiasi idea di politica economica anticiclica in grado di sostenere le famiglie e il sistema produttivo a fronte della grave crisi economica in corso.
Nell’articolato della manovra non vi è traccia di misure di carattere strutturale, tali da garantire un duraturo risanamento dei conti pubblici. Alcuni interventi hanno un effetto depressivo sui consumi e riducono la capacità di risparmio delle famiglie, altri hanno un impatto negativo sulla capacità di investimento complessivo del sistema Paese. In sostanza, una manovra recessiva che aggredisce e depotenzia i fattori fondamentali alla base della crescita economica del nostro sistema produttivo.
La manovra correttiva di ammontare pari a 24,9 miliardi di euro a regime si fonda su tre direttrici principali: 8,5 miliardi sono stati recuperati da tagli agli enti locali, 10 miliardi da ipotetiche maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione fiscale e la restante parte da tagli al trattamento economico e pensionistico dei dipendenti pubblici, da tagli lineari di bilancio ai Ministeri e da tagli alla spesa sanitaria e farmaceutica.
Pur necessaria per porre in sicurezza i conti pubblici, la manovra correttiva non è stata accompagnata da alcuna significativa misura per il sostegno della domanda e dell’offerta, non definisce alcun obiettivo strategico sul terreno della ripresa economica, né per l’anno in corso né per quelli successivi, e non prevede alcuna indicazione circa la strategia da seguire per favorire il recupero di capacità competitive del Paese sullo scenario internazionale.
Nel panorama delle manovra finanziarie e delle manovre correttive, ciò rappresenta un fatto più unico che raro. Nel corso degli ultimi anni, infatti, nessuna manovra finanziaria, anche correttiva, aveva registrato, a fronte di consistenti misure di maggiori entrate e di pesanti tagli alle spese, l’assenza di qualsiasi misura direttamente destinate al sostegno e allo sviluppo dell’economia.
Tuttavia, pur non risultando del tutto inattesa, ciò che desta le maggiori perplessità sono le modalità con cui si è giunti al varo della stessa.
Il Governo, fino a pochi giorni fa, ripeteva a cittadini e ad imprese che “la crisi economica è ormai alle nostre spalle” e che non erano necessari ulteriori interventi per la tenuta dei conti pubblici, per il sostegno e i consumi e della produttività.
Le voci preoccupate e dissenzienti, provenienti dall’opposizione parlamentare e dai giornali indipendenti, venivano respinte dall’esecutivo e tacciate di catastrofismo, pessimismo e di antitalianità.
La realtà dei numeri e le recenti vicende di questi giorni evidenziano, al contrario, che le preoccupazioni espresse nei mesi scorsi non erano infondate e che per il nostro Paese il peggio è drammaticamente di fronte a noi.
E tutto ciò non può essere ricondotto e ridotto a fatti contingenti e alla crisi dei mercati internazionali.
Gran parte delle responsabilità relative alla grandezza della manovra correttiva sono a carico del Governo in carica e nello specifico all’ostinazione di dipingere una realtà economica e di bilancio che non era tale e che oggi emerge in tutta la sua drammaticità.
Ora, a fronte delle tensioni dei mercati finanziari internazionali, a pagare il conto di una gestione superficiale ed inadeguata della politica economica e della finanza pubblica del Paese sono soltanto una parte dei cittadini, i dipendenti pubblici e i lavoratori prossimi al pensionamento, e le autonomie locali, evidenziando ancora una volta l’atteggiamento irresponsabile del Governo italiano, soprattutto se paragonato a quelli della Francia e della Germania che al contrario hanno chiamato tutti i contribuenti e il sistema delle imprese a dare il loro contributo al risanamento dei conti pubblici nazionali.
In sostanza, la manovra correttiva è stata costruita dal Governo in modo chirurgico, demagogico e con l’obiettivo di colpire soltanto la parte più debole della cittadinanza, gli statali e i lavoratori prossimi al pensionamento, già in passato oggetto di duri attacchi da parte di membri del Governo e della maggioranza, e salvando dalla mannaia quella dell’elettorato di riferimento. 
Malgrado tali scelte, il Paese che uscirà dalla crisi sarà comunque più debole di quello che abbiamo finora conosciuto, senza un chiaro indirizzo di sviluppo industriale, con un tessuto produttivo ridimensionato dalla crisi, in particolare nella componente delle piccole e medie imprese, privo di adeguate risorse finanziarie e di merito di credito, esposto alla concorrenza sempre più aggressiva non solo dei concorrenti tradizionali ma dei nuovi attori dell’economia emergente, con un mercato del lavoro indebolito e privo di adeguati strumenti di sostegno e riqualificazione per i soggetti che perdono l’occupazione e con una forte distorsione nella distribuzione della ricchezza a discapito delle fasce più deboli della società.
La dinamica di medio periodo prevista per la nostra economia è molto modesta e del tutto inadeguata ad affrontare le sfide del nuovo scenario globale, e soprattutto a contenere l’aumento dei disoccupati già registrato e previsto per tutto il 2010. Un esercito di senza lavoro aggiuntivo al contingente pre-crisi, tanto ampio che le più recenti stime prevedono la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, gran parte dei quali non verrà riassorbito nel mercato del lavoro.
A fronte di tali prospettive, l’assenza nella manovra di riforme e misure di carattere strutturale, riduce l’efficacia della stessa ed espone il Paese a futuri, inevitabili, interventi correttivi aggiuntivi.
Nel frattempo, proprio in ragione del peso della manovra correttiva, le famiglie italiane diventano sempre più povere in ragione del fatto che il reddito a loro disposizione viene sostanzialmente decurtato, con inevitabili ricadute sul livello generale dei consumi e sulla capacità di risparmio. Fattore, quest’ultimo, che finora ha rappresentato uno dei fondamentali aspetti della nostra economia, rimanendo sempre al di sopra del livello registrato nel resto dell’UE e negli USA, ma che oggi si attesta al livello medio europeo.
Al sistema delle imprese, sempre più in difficoltà sul fronte internazionale, non viene concesso nulla rimandando al futuro qualsiasi intervento di sostegno e al sistema delle autonomie territoriali vengono tolte le risorse necessarie al loro normale funzionamento.
In sintesi, l’analisi del quadro attuale segnala il rischio di una grave perdita di capacità competitiva, non interpretabile soltanto come un fatto ciclico ma al contrario come un deterioramento strutturale e progressivo del nostro sistema Paese.
 
2. Le cause della manovra correttiva. Lo stato dell’economia, dei conti pubblici e la crisi dei mercati finanziari
 
Alla presentazione della manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro hanno concorso due fattori fondamentali.
Da un lato il pessimo andamento dell’economia e dei conti pubblici e, dall’altro, la situazione di instabilità dei mercati finanziari che hanno riversato sui Paesi più deboli e meno virtuosi le maggiori tensioni speculative.
Nel merito dello stato dell’economia nazionale e dei nostri conti pubblici, i dati resi noti dalla RUEF 2010 e confermati in sede UE e dalla Banca d’Italia evidenziano la situazione drammatica nella quale ci ritroviamo, nel breve volgere di due anni dall’inizio della legislatura. Le iniziative e gli sforzi fatti nel corso degli ultimi 15 anni per il rilancio della competitività del Paese, per il contenimento della spesa pubblica e per il costante rientro del debito pubblico verso la soglia del 100 per cento del PIL, che pure erano state pesantemente criticate dal centrodestra e che tante fortune politiche hanno garantito all’attuale Governo, sono state spazzate via nello spazio di poco tempo.
Solo per segnalare la situazione si riportano di seguito alcuni dati macroeconomici e di finanza pubblica registrati a consuntivo nel triennio 2007-2009 e le previsioni della RUEF per il 2010.
I dati macroeconomici evidenziano lo stato di difficoltà della nostra economia nel biennio 2008-2009 e le recenti previsioni sull’andamento del PIL e dei consumi finali per il 2010 saranno sicuramente riviste al ribasso nei prossimi mesi anche per effetto della manovra recessiva appena approvata. Il blocco dei redditi degli statali, avrà sicuramente un effetto depressivo sull’andamento dei consumi finali per l’anno in corso e per quelli successivi e, quindi, in via indiretta anche sul Pil. Alcuni effetti della manovra sono attesi anche sull’andamento dell’occupazione e sul tasso di disoccupazione.
 
Tabella n. 1- Principali Indicatori macroeconomici
 
2007
2008
2009
2010
PIL
1,5
-1,3
-5
1*
Import
3,8
-4,3
-14,5
2,7*
Export
4,6
-3,9
-19,1
2,9*
Consumi
1
-0,4
-1,2
0,7*
Investimenti fissi lordi
1,7
-4
-12,1
0,2*
Disoccupazione
6,2
6,8
7,8
8,7*
Indice prezzi al consumo
1,8
3,3
0,8
1,3*
 
* Dati RUEF 2010
Analoghe considerazioni possono formularsi in relazione all’andamento della finanza pubblica. Nel breve volgere di due anni, gli indicatori fondamentali di finanza pubblica sono crollati in misura impressionante ed in taluni casi in modo del tutto incomprensibile. Si pensi all’andamento della spesa corrente cresciuta a dismisura malgrado i tagli lineari predisposti dal Ministro dell’economia e delle finanze.
Come si può vedere dalla Tabella n. 2, formulata sulla base dei dati della RUEF 2010, nel breve volgere di due anni, il debito pubblico è tornato ai livelli di oltre 15 anni fa e il suo volume globale salirà nel 2010 al 118,4% (+ 15 per cento in due anni). Il livello dell’indebitamento netto, è previsto per il 2010 al di sopra del 5 % del PIL e si manterrà vicino al 4% fino a tutto il 2011 (+3,5 per cento rispetto a due anni fa). Il saldo primario, dopo oltre 15 anni continuativi di avanzo, è tornato nel 2009 in disavanzo e tale rimarrà anche nel 2010. Le spese finali, pari al 48,4 per cento del Pil nel 2007, sono cresciute nel breve volgere di due anni raggiungendo la ragguardevole cifra del 52,5 per cento nel 2009. In tale ambito, come già accennato, colpisce l’andamento della spesa corrente al netto degli interessi che raggiunge nell’anno in corso il 48 per cento del PIL e – ciò che è più grave – è programmata ben al di sopra del livello raggiunto nel 2008 fino a tutto il 2013. La pressione fiscale si è accresciuta, nel 2009, fino al 43,2% del PIL, e si manterrà vicina a questa soglia record fino al 2013, cioè per l’intera legislatura.
 
Tabella n. 2- Principali indicatori di finanza pubblica a legislazione vigente
 
2007
2008
2009
2010
Debito Pubblico
103,5
106,1
115,8
118,4*
Deficit
-1,5
-2,7
-5,3
-5*
Entrate
di cui tributarie
46,9
29,8
46,7
29,1
47,2
29,1
46,8*
28,8
Spese
di cui correnti
48,4
44,3
49,4
45,7
52,5
48,2
51,8*
48
Pressione fiscale
43,1
42,9
43,2
42,8*
Avanzo primario
3,5
2,5
-0,6
-0,4*
 
* Dati RUEF 2010
 
Tali dati meritano alcune considerazioni critiche. Mentre in altri Paesi i conti pubblici sono peggiorati nel corso degli ultimi due anni a causa degli interventi di stimolo dell’economia e per offrire alle banche nazionali il sostegno necessario a scongiurare i rischi di fallimento, in Italia il sistema bancario non ha avuto bisogno di quei sostegni e interventi straordinari del genere non ce ne sono stati, mentre il sistema economico imprenditoriale non è stato interessato da interventi significativi.
Se da un lato si può comprendere che il crollo della produzione ha fatto venir meno entrate tributarie, e che la restante parte della riduzione delle entrate è legata alla consistente ripresa della crescita dell’evasione, non si comprendono, dall’altro, le ragioni che giustifichino completamente l’impennata delle spese finali, ed in particolare delle spese correnti, ed il conseguente crollo del saldo primario e l’esplosione del deficit di bilancio.
Non tutto è dovuto e può essere giustificato dal crollo del PIL. Buona parte delle responsabilità è imputabile all’inadeguatezza delle misure di politica economica ed al mancato controllo dei conti pubblici. Da qui e perciò l’urgenza della manovra correttiva.
Al peggioramento dei conti pubblici hanno fortemente contribuito, infatti, le scelte adottate dal Governo nella fase iniziale della legislatura in corso, dettate più da esigenze meramente elettorali che da reali esigenze economiche.
Non può non ricordarsi che all’inizio del 2008 i conti pubblici erano sotto controllo ed il deficit era abbondantemente dentro i parametri comunitari.
L’abolizione dell’ICI, la vicenda dell’Alitalia, l’abolizione delle norme antievasione e le prime misure per il Ponte sullo Stretto di Messina (tutte promesse elettorali) hanno pesato sui conti pubblici per diversi miliardi di euro proprio nel momento in cui si evidenziavano i primi segnali di instabilità economica e finanziaria dei mercati internazionali.
La sottrazione di tali risorse ha spiazzato il Governo proprio nel momento in cui servivano interventi di spesa per affrontare in funzione anticiclica la crisi economica.
Ai primi cenni di instabilità economica, infatti, il Governo, non avendo a disposizione spazi di manovra per gli interventi veramente necessari al sistema Paese, ha adottato un atteggiamento di inerzia, difforme dalle scelte adottate dai governi di altri Paesi che, al contrario, approfittando del periodo di crisi economica e dei mercati finanziari, hanno deciso di attuare non solo misure di indirizzo e di sostegno alla loro economia, ma soprattutto di affrontare il nodo delle riforme strutturali.
A titolo esemplificativo, si pensi agli sforzi sostenuti delle amministrazioni degli Stati Uniti dapprima per il salvataggio del settore bancario ed assicurativo, a cui hanno fatto seguito misure di sostegno di alcuni comparti produttivi maturi, come il settore automobilistico, al rafforzamento del settore produttivo della green economy, il tutto accompagnato da alcune riforme strutturali come quella voluta dal Presidente Obama relativa al settore sanitario. Su tale linea si sono attestati tutti i principali Paesi industrializzati e soprattutto i principali Paesi UE, come la Francia, la Gran Bretagna e la Germania.
Nel frattempo i conti pubblici hanno iniziato a deteriorarsi nelle componenti fondamentali (spesa corrente) in misura preoccupante e per tamponare la situazione si sono operati drastici tagli al bilancio dei Ministeri (decreto legge n. 112 del 2008).
Successivamente, si è passati al saccheggio delle risorse disponibili per il sostegno delle aree sottoutilizzate con l’azzeramento delle risorse del FAS di competenza statale.
Ancora dopo si è passati a nuovi tagli di bilancio e al saccheggio dei fondi destinati alle imprese (riduzione delle risorse stanziate dal precedente governo per Industria 2015), ed infine all’approvazione di varie misure una tantum, tra cui quella dello scudo fiscale, le cui entrate tuttavia a poco sono servite, come ampiamente preannunciato, lasciando irrisolti tutti i nodi strutturali e i fattori di debolezza economica di una delle principali potenze industriali del mondo.
A fronte della debolezza economica e dell’instabilità di bilancio, la crisi dei mercati finanziari, lungi dal trovare soluzione, ha colpito inevitabilmente anche il nostro Paese.
La crisi finanziaria che sta interessando in modo drammatico alcuni Paesi dell’Unione Europea (i paesi cosiddetti PIGS) ed in particolare la Grecia, la Spagna, ha generato una serie di conseguenze economiche, finanziarie e valutarie di portata imprevedibile, tali da mettere a rischio non solo la stabilità dei mercati finanziari internazionali, in vero assai precaria, ma anche il futuro dell’Unione europea e dell’euro.
Proprio per scongiurare tale evento, l’accordo sottoscritto il 10 maggio 2010 dai Ministri delle finanze dell’UE in ambito Ecofin, con il coinvolgimento del FMI, ha previsto un Piano di aiuti per i Paesi più a rischio di ammontare non inferiore a 750 miliardi di euro, di cui 500 miliardi stanziati dai Paesi UE. Tale Piano, pur avendo restituito una momentanea e poco durevole fiducia alle borse europee ed internazionali, ha lasciato irrisolti alcuni nodi strutturali della crisi, ancora aperti e tutti da risolvere.
Numerosi economisti sostengono, infatti, che le suddette risorse potrebbero non essere sufficienti per tutti i Paesi a rischio di attacchi speculativi, stimando che se il Portogallo, l’Irlanda e la Spagna ad un certo punto avranno bisogno di salvataggi come la Grecia, le risorse necessarie all’intervento potrebbero arrivare a 650 miliardi di euro.
Nulla o poco rimarrebbe a disposizione dell’Italia e degli altri Paesi Ue a maggiore rischio. Proprio per tali ragioni, accanto alle misure di salvataggio appena descritte, tutti i Paesi membri dell’UE si sono impegnati a restituire stabilità valutaria all’area procedendo, ciascuno per la propria parte, a ridurre l’incidenza del deficit sui conti pubblici.
Da qui la manovra correttiva.
Ciò che appare evidente è che non si discute la necessità della manovra, ma va certamente detto che una più attenta gestione della politica economica e dei conti pubblici nel corso degli ultimi due anni avrebbe consentito al nostro Paese di affrontare la crisi economica e finanziaria in atto in ben altro modo.
Il risparmio derivante dalle misure post elettorali (Ici, Alitalia, Ponte sullo stretto e cancellazione delle norme antievasione) ed un punto percentuale di spesa corrente in meno in rapporto al Pil avrebbero consentito il varo di una manovra correttiva di dimensioni ben più ridotte o in alternativa il varo di una manovra anche con misure di sostegno alle famiglie, al lavoro e al sistema imprenditoriale.  
 
 
3. I numeri della manovra
La manovra correttiva, a regime, è incentrata per il 60% su tagli alla spesa ( 14,891 miliardi di euro) e per circa il 40% per cento su maggiori entrate (10, 091 miliardi di euro).
Nel merito, la tabella n. 3, riporta a grandi linee la composizione della manovra:
 


Tabella n. 3 – La composizione della manovra
 
 
2010
 
 
2011
 
2012
Totale contributo spese
-662
7958
14891
(in % alla manovra)
 
66%
60%
di cui
 
 
 
Tagli ministeri e PCM
45
1415
2050
Costi politica
 
0
0
Soppressione enti
0
2
2
Congelamento contratti PI
5
7
312
Blocco assunzioni e turnover AC
0
59
85
Personale sanità
0
246
628
Blocco carriere (scuola e PS)
0
644
417
Tagli spesa farmaceutica
0
600
600
Pensioni e TFR
0
760
2841
Regioni
0
4000
4500
Comuni
0
1500
2500
Province
0
300
500
Regioni SS
0
500
1000
Spese aggiuntive
-736
-2075
-544
 
 
 
 
Totale contributo entrate
693
4095
10091
(in % alla manovra)
 
34%
40%
di cui
 
 
 
Lotta all’evasione
415
5325
7781
Pedaggi e altre entrate non fiscali
141
1288
912
Altre entrate
137
-2518
1399
 
 
 
 
Totale manovra
31
12053
24982
 
Dal lato dei tagli, più del 57 per cento degli stessi sono rappresentati da tagli e riduzioni di trasferimenti a regioni ed enti locali e circa il 14 per cento da una serie di riduzioni lineari nelle spese dei ministeri che, come dimostrano le esperienze passate, sono spesso tagli fatti esclusivamente sulla carta. Dal lato delle entrate, circa l’80 per cento viene garantito dai nuovi provvedimenti di lotta all’evasione, da cui il governo si aspetta di ottenere circa 7,8 miliardi di euro. Una consistente entrata è poi garantita dall’introduzione del pagamento del pedaggio sulle tratte autostradali direttamente gestite da ANAS (in particolare l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, il Grande raccordo anulare di Roma ed alcuni raccordi autostradali del Nord)
La Relazione tecnica rivela diverse sorprese rispetto agli annunci del Governo. In primo luogo, i tagli agli enti inutili e ai costi della politica, sono in parte spariti e per la restante parte incidono sulla spesa solo per qualche milione di euro in meno. Il congelamento dei contratti nel pubblico impiegoincidono per un decimo di quanto anticipato, ovvero per circa 500 milioni di euro anziché per più di 5 miliardi. In effetti, il blocco scatta nel 2010 e quindi salva i tre contratti firmati nel corso di questo anno e contempla l’erogazione della “vacanza contrattuale” per il pubblico impiego. Tuttavia la misura desta comunque perplessità, in quanto già in passato, il blocco dei contratti pubblici ha comportato a regime addirittura incrementi di spesa, in ragione del fatto che il recupero dei rinvii è sempre molto oneroso.
Molto gravosi sono gli interventi su scuola – il blocco degli incrementi automatici delle retribuzioni nel triennio determina una forte riduzione della spesa nel comparto – e sulla sanità – un complesso di riduzioni nel personale e di riclassificazione della spesa farmaceutica che valgono oltre 1,1 miliardi di euro a regime.
La chiusura di alcune finestre per pensioni di vecchiaia e anzianità e la rateizzazione del TFR comportano risparmi di circa 2,8 miliardi di euro a regime, sempreché l’effetto annuncio non spinga molti ad anticipare l’andata in pensione.
La parte più significativa dei tagli la subiscono ancora una volta Regioni e altri enti territoriali, chiamati a contribuire a regime per 8,5 miliardi di euro, oltre il 60 per cento della riduzione prevista nella spesa. Per le Regioni si tratta del sostanziale annullamento dei trasferimenti per il finanziamento delle funzioni devolute; per comuni e province, di un taglio ai trasferimenti dell’ordine del 20 per cento del totale. Come questi enti territoriali potranno gestire riduzioni così imponenti non è chiaro. Infine, la manovra è accompagnata da tagli lineari ai vari ministeri di spesa, per un ammontare a regime di 2,05 miliardi di euro, la cui efficacia è tuttavia tutta da dimostrare. Dal lato delle entrate, pari a 10 miliardi in più a regime, la fonte prioritaria di maggiori risorse è attribuita alle misure di lotta all’evasione fiscale. Tali stime appaiono del tutto ottimistiche in ragione del fatto che è impossibile stimarne con precisione il valore e che tutto questo avviene in aggiunta al recupero di evasione già contemplato nello scenario tendenziale della Relazione unificata sull’economia e la finanza.
In sintesi, si tratta di una manovra visibilmente debole e priva di misure strutturali solide tali da renderne certa la realizzazione. Qualora l’effetto dei tagli lineari e delle misure una tantum nei prossimi mesi dovesse risultare inferiore alle previsioni contenute nella relazione tecnica, il Governo sarà costretto al varo di una nuova manovra correttiva.
 
4. I contenuti della manovra
Il recupero dei 24,92 miliardi di euro diretti ad assicurare la stabilizzazione finanziaria dei conti pubblici, si fonda sulle seguenti proposte:
A) RIDUZIONE DEI COSTI DEGLI APPARATI POLITICI
Una delle voci che avrebbe dovuto garantire consistenti risparmi di spesa è quella relativa al taglio dei costi degli apparati politici. In tale ambito, tuttavia, le attese sono state ampiamente deluse. Rispetto agli annunci residuano nel testo poche norme di risparmio effettivo attribuibili a tali voci. La prevista riduzione della spesa a carico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stata limitata a soli 60 milioni di euro, di cui 7 milioni di euro derivanti dalla riduzione degli organici dirigenziali, 3 milioni di euro dalla riduzione di budget per strutture di missione e 50 milioni di euro dalla riduzione delle risorse messe a disposizione di ministri senza portafoglio e sottosegretari. La prevista riduzione delle spese della Presidenza della Repubblica, del Senato, della Camera dei deputati e della Corte costituzionaleè stata demandata ad autonome deliberazioni, da attuarsi entro il 31 dicembre 2010, con le modalità stabilite dai rispettivi ordinamenti. Le risorse così recuperate sono destinate al Fondo per la concessione di ammortizzatori in deroga. Il taglio al trattamento economico dei Ministri e dei sottosegretari è stato limitato ai non membri del Parlamento ( 2 ministri e 7 sottosegretari) e da tale disposizione si ha un risparmio di soli 72.000 euro. Il taglio del 10% al trattamento economico dei magistrati e del CNEL non è quantificato così come quelliprevisti per i trattamenti riservati a consiglieri comunali e provinciali (indennità di funzione fissata ad 1/5 dell’indennità massima del Sindaco e soppressione gettoni presenza). Infine sono attesi circa 10 milioni di euro dalla riduzione dei rimborsi elettorali ai partiti, ovviamente con effetti a partire dalle prossime elezioni.
Nel complesso, quindi, la “montagna” di risparmi annunciati a carico dei “costi della politica” si è ridotta nel breve volgere di qualche giorno a meno di 80 milioni di euro.
 
 
B) RIDUZIONE DEL PERIMETRO E DEL COSTO DELLA PA
Forti preoccupazioni e perplessità si esprimono in relazione alle disposizioni che conferiscono al Ministro dell’economia e delle finanze il potere di definanziare le leggi di spesa non totalmente utilizzate negli ultimi tre anni. Considerato che numerose leggi di spesa presentano significativi residui di spesa, il rischio di definanziamento per mere esigenze di bilancio è assai ampio e nessun limite è posto al potere discrezionale concesso al Ministro dell’economia.
In tale ambito si segnalano ad elevato rischio le risorse residuali del FAS per la componente di spesa relativa alle annualità precedenti alla programmazione 2007-2013, che presenta quantitativi significativi di residui di spesa.
Tali disponibilità, insieme ad altri residui di spesa inutilizzata, potrebbero essere recuperate dalle originarie finalità e riassegnate da Tremonti al fondo ammortamento dei titoli di stato.
Forti critiche, si esprimono poi, sui tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni finanziarie (spese rimodulabili) delle missioni di spesa di ciascun ministero, riproposto per l’ennesima volta, ma che già in passato ha ampiamente dimostrato la sua inutilità ai fini dell’effettivo conseguimento dei risparmi programmati in bilancio. Nello specifico l’Allegato 1 alla manovra correttiva riporta i seguenti importi:
 


Tabella n. 4 – I tagli di bilancio ai Ministeri
Ministero
2011
2012
2013
Economia e finanze
711.933
847.471
644.187
Sviluppo economico
963.221
561.485
1.142.170
Lavoro e politiche sociali
12.326
12.235
12.316
Giustizia
47.830
48.522
48.550
Affari esteri
43.926
43.855
43.015
Istruzione, università e ricerca
104.245
104.755
103.755
Interno
118.743
120.473
122.791
Ambiente
34.238
33.300
33.588
Infrastrutture e trasporti
56.109
49.093
50.339
Difesa
255.845
304.778
104.786
Politiche Agricole
23.274
17.470
17.491
Beni e attività culturali
58.260
58.259
58.119
Salute
13.706
14.105
14.090
TOTALE
2.443.656
2.215.801
2.395.187
 
 
Nel complesso, i tagli alle dotazioni finanziarie delle missioni di spesa dei Ministeri sono superiori a 7 miliardi di euro nel triennio 2011-2013 (in termini di saldo netto da finanziare), di cui più di un terzo concentrati sul Ministero per lo sviluppo economico. In tale ambito colpisce il taglio operato alla missione 28 – Sviluppo e riequilibrio territoriale, che nel triennio 2011-2013, subisce un taglio complessivo di 2,4 miliardi di euro. Le politiche di programmazione, di indirizzo, coordinamento e monitoraggio del QSN per l’attuazione degli interventi tesi al sostegno dei sistemi produttivi per il mezzogiorno e le aree sottoutilizzate subiscono, pertanto, una consistente decurtazione proprio nel momento in cui la programmazione degli interventi è in piena fase di attuazione. Il Mezzogiorno, dopo il saccheggio delle risorse del FAS, subisce un nuovo pesante taglio di risorse, con ciò evidenziando l’intento del Governo e della maggioranza di allargare la frattura sociale e territoriale fra le aree del centro nord e quelle meridionali del Paese. Altri consistenti tagli vengono operati: alla missione 13 - Diritto alla mobilità per un ammontare superiore a 650 milioni di euro nel triennio; alla missione 11- Competitività e sviluppo delle imprese per un ammontare superiore a 300 milioni di euro nel triennio; alla missione 22 – Istruzione scolastica per un ammontare superiore a 190 milioni di euro nel triennio.
Appaiono del tutto inaccettabili i nuovi tagli operati alla missione 7- ordine pubblico e sicurezza che subisce un taglio di superiore a 230 milioni di euro nel triennio.
 
Tabella n. 5- I tagli alla missione Ordine pubblico e sicurezza operati dall’inizio della legislatura
Provvedimento
2009
2010
2011
2012
2013
D.L. n. 112/2008
263.497.000
283.089.000
492.726.000
0
0
Finanziaria 2009
66.268.569
0
0
0
0
Finanziaria 2010
0
398.152.965
0
0
0
D.L. n. 78/2010
0
0
78.129.000
76.802.000
77.166.000
Totale
329.765.569
681.241.965
492.726.000
76.802.000
77.166.000
Totale 2009/13
1.735.830.534
 
Tali decurtazioni confermano un trend avviato sin dall’inizio della legislatura, che non consente alle forze dell’ordine di svolgere i normali compiti di ordine pubblico. Tali drastiche riduzioni sono suscettibili di pregiudicare fortemente le attività di contrasto alla criminalità (in particolare organizzata) e di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici impedendo il celere ed effettivo accertamento dei reati, nonché la prevenzione dei delitti, in palese contraddizione con quanto promesso dalla maggioranza in campagna elettorale, nonché con quanto asserito dagli esponenti del Governo e della stessa maggioranza non solo in sede parlamentare o in contesti istituzionali, ma anche nell’ambito di dichiarazioni rese alla stampa. I tagli operati alle risorse destinate al dicastero dell’interno dimostrano il carattere meramente simbolico – e come tale totalmente inefficace – della politica del Governo, che a fronte della continua introduzione di nuove norme di contrasto al crimine, non prevede le risorse necessarie alla loro applicazione, sia in sede amministrativa che giudiziaria, con il rischio di aggravare ulteriormente la percezione di insicurezza da parte dei cittadini e la conflittualità sociale, minando altresì la stessa legittimazione e credibilità della funzione dell’amministrazione statale.
Altri 140 milioni di euro nel triennio sono stati recuperati dalla missione 6 – Giustizia che si vanno ad aggiungere al taglio di oltre 327 milioni di euro operato nel corso dell’ultima finanziaria. Riduzione significativa e suscettibile di determinare un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell’amministrazione della giustizia (quanto non addirittura una sua paralisi) ove si consideri che a tale missione sono ricondotti quattro ‘programmi’ cruciali per la funzionalità della giustizia – e quindi anche per la sicurezza e la tutela dei diritti dei cittadini – come quelli dell’amministrazione penitenziaria, della giustizia civile e penale, della giustizia minorile e dell’edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile.
Infine si segnala il taglio superiore a 190 milioni di euro nel triennio 2011-2013, alla missione 5-Difesa e sicurezza del territorio che avviene dopo un anno che ha drammaticamente confermato, con il terremoto in Abruzzo e con la tragedia di Messina, la condizione di insicurezza abitativa in cui vivono centinaia di migliaia di italiani, collegata al rischio sismico ed al rischio idrogeologico, largamente alimentata da un uso spesso distorto del territorio e da standard insufficienti di sicurezza di buona parte del nostro patrimonio abitativo.
 
Del tutto discutibili sono, poi, le norme che dispongono il trasferimento delle funzioni di programmazione economica e finanziaria, coordinamento e verifica degli interventi per lo sviluppo economico territoriale e settoriale e delle politiche di coesione, con particolare riferimento alle aree depresse, e delle risorse del FAS, finora proprie del Ministero dello sviluppo economico, alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
I previsti tagli per gli apparati amministrativi (composizione e trattamento dei membri di organi collegiali, compensi degli amministratori di società a controllo pubblico, spesa per studi e consulenze, relazioni pubbliche, convegni, mostre e sponsorizzazioni, spese per missioni, spese per formazione, acquisto, noleggio e manutenzione automobili, divieto di società pubbliche di effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito e rilasciare garanzie a favore di società partecipate non quotate) non sono stati quantificati dal Governo, con ciò confermando la natura del tutto aleatoria dei tagli lineari che il Governo prudentemente non quantifica anche in ragione delle pessime performance conseguite in passato su tali specifiche voci di bilancio.
 
Risparmi di spesa pari a 26,24 milioni di euro saranno garantiti, poi, dalla soppressione e dall’accorpamento di enti ed organismi pubblici (soppressione e trasferimento di funzioni di IPSEMA e ISPESL in INAIL, di IPOST in INPS, di ENAPPSMASAD in ENPALS, soppressione dell’ISAE, dell’EIM, dell’INSEAN e di altri enti ed istituti minori) alcune delle quali assolutamente incomprensibili e controproducenti. In particolare, si aggrediscono in modo del tutto inaccettabile importanti enti come l’Ispesl che ha finora svolto fondamentali funzioni nel campo della ricerca e della prevenzione sugli infortuni nel lavoro, contribuendo con il proprio lavoro a salvare la vita di migliaia di lavoratori. La soppressione dell’ente, che produce un risparmio di soli 426.000 euro, fa venire meno un know-how di conoscenze e di capacità operative difficilmente recuperabile e ricostituibile nell’ambito dell’Inail, istituto prestigioso, ma con funzioni e finalità diverse dall‘Ispesl. Analoghe considerazioni possono essere fatte per l’Isae, (135.000 euro di risparmi) che viene accorpato al Ministero dell’economia e delle finanze, perdendo per tale via l’autonomia operativa che contraddistingueva il proprio operato e per l’Insean (127.000 euro di risparmi), unico istituto pubblico dedicato alla ricerca nel settore navale.    
Forti perplessità possono essere sollevate, infine, sulle misure di risparmio delle spese annue sostenute per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili pubblici utilizzati dalle amministrazioni centrali, dalle regioni, dalle aziende sanitarie ed ospedaliere, che si configurano come un differimento nel tempo delle spese necessarie a tale fine, con maggiori oneri, rispetto a quelli attuali, inevitabilmente a carico degli esercizi di bilancio successivi al 2013. 
 
C) RIDUZIONE DELLE RISORSE PER REGIONI ED ENTI LOCALI
La parte più consistente delle risorse viene recuperata da tagli per Regioni ed enti locali, per i quali viene previsto un nuovo patto di stabilità per gli anni 2011-2013.
Le regioni concorreranno alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per un ammontare, a regime, pari a 4,5 miliardi di euro; le regioni a statuto speciale per 1 miliardo di euro; le province autonome di Trento e Bolzano per 0,5 miliardi di euro; le province per 500 milioni e i Comuni per 2,5 miliardi di euro. I trasferimenti statali a qualunque titolo spettanti alle regioni a statuto ordinario sono, pertanto, ridotti di 4 miliardi nel 2011 e di 4,5 miliardi di euro nel 2012. Analogamente, i trasferimenti per le province sono ridotti di 300 milioni nel 2011 e di 500 milioni nel 2012 e per i Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti di 1.500 milioni nel 2011 e di 2.500 milioni nel 2012. Per garantire il conseguimento dei tagli previsti dal nuovo Patto di stabilità sono state previste apposite sanzioni per le regioni a statuto ordinario e a statuto speciale (gli scostamenti dagli obiettivi sono recuperati da tagli sulle giacenze depositate nei conti aperti presso la tesoreria statale) e per gli enti locali (tagli sui trasferimenti disposti dal Ministero dell‘interno).
In aggiunta ai tagli di risorse, il governo ha previsto, poi, il sostanziale blocco delle assunzioni per gli enti con spese di personale pari o superiore al 50% delle spese correnti e la riduzione degli oneri per il personale attraverso il contenimento del lavoro flessibile, il reintegro dei cessati (?), la razionalizzazione e lo snellimento delle strutture burocratico-amministrative, l‘accorpamento di uffici e la riduzione delle posizioni dirigenziali ed il contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa.
Appare del tutto evidente che lo sforzo richiesto alle Regioni e agli enti locali avrà un’incidenza sia sul livello dei servizi offerti alla cittadinanza, sia sulla pressione fiscale a carico dei rispettivi cittadini. Il Governo non potendo, per ovvie ragioni d’immagine, adottare misure di entrata in via diretta, trasferisce tale onere sulle regioni (che hanno la facoltà di aumentare l’Irap e le altre imposte e tasse di competenza regionale) e sui Comuni (addizionali e tasse comunali).
La parte restante, che non può essere finanziariamente coperta da maggiori imposte e tasse, sarà inevitabilmente recuperata con tagli a spese per il funzionamento degli enti e da tagli ai servizi sociali finora garantiti da Regioni e Comuni. I vincoli del nuovo Patto di stabilità avranno effetti anche sulla capacità di regioni ed enti locali di procedere al pagamento di quanto dovuto alle imprese e di effettuare nuova spesa in conto capitale, in vero già assai limitata, con ciò aggravandone la già difficile situazione delle imprese ed, in particolare, di quelle che operano nel settore dei servizi e delle infrastrutture.
Sia l’Anci, sia le regioni hanno espresso una forte opposizione ai contenuti della manovra correttiva, segnalando la disponibilità a contribuire al risanamento dei conti pubblici, ma sulla base di diverse modalità di intervento e soprattutto per importi assai più limitati.
Dall’analisi dei dati riportati nella Tabella n. 6, si possono trarre alcune considerazioni di merito.  Il totale delle spese regionali sostenute nel 2009 ammontano, complessivamente, a 171,6 miliardi di euro, mentre, come noto, la quota di spesa soggetta al Patto di Stabilità Interno ammonta a 62,58 miliardi di euro. Sull’aggregato di spesa soggetta al Patto di Stabilità, si possono agevolmente calcolare gli importi su cui agirà il taglio previsto nel biennio 2011-2012, differenziando la situazione tra le realtà regionali a statuto speciale da quelle a statuto ordinario e arrivando anche a stimare l’impatto pro capite.
Secondo i dati della tabella n. 6 a pagare il prezzo più alto del nuovo Patto di Stabilità saranno le Regioni a statuto speciale del nord, visto che a ciascun residente questa manovra costerà complessivamente circa 290 euro nel biennio 2011-2012.
 


Tabella n. 6 – Stima dell’impatto della manovra su regioni e cittadini
 
 
 
 
2011
2012
2011-2012
 
Totale spese 2009
Spese soggette a PSI
Importo manovra
% su spesa
Euro
Procapite
Importo manovra
% su spesa
Euro
Procapite
Importo manovra
% su spesa
Euro
Procapite
Regioni ordinarie
 
128.395
 
 
37.108
 
4.000
 
10,8
 
78
 
4.500
 
12,1
 
88
 
8.500
 
22,9
 
167
-Nord
59.150
14.068
1.516
10,8
61
1.706
12,1
68
3.222
22,9
129
-Centro
32.106
9.998
1.078
10,8
91
1.212
12,1
103
2.290
22,9
194
-Sud
37.138
13.042
1.406
10,8
99
1.582
12,1
112
2.987
22,9
211
Regioni Autonome
43.245
25.479
500
2,0
55
1.000
3,9
110
1.500
5,9
165
-Nord
17.449
11.690
229
2,0
97
459
3,9
193
688
5,9
290
-Sud
25.796
13.788
271
2,0
40
541
3,9
81
812
5,9
121
Totale Regioni
171.640
62.587
4.500
7,2
75
5.500
8,8
92
10.000
16,0
167
NORD
76.599
25.758
1.746
6,8
64
2.165
8,4
79
3.911
15,2
143
CENTRO
32.106
9.998
1.078
10,8
91
1.212
12,1
103
2.290
22,9
194
SUD
62.934
26.830
1.676
6,2
80
2.123
7,9
102
3.799
14,2
182
 
Elaborazione su dati Corte dei Conti- 2010 della CGIA Mestre
Tuttavia, i bilanci di tali Regioni possono soffrire meno di altre realtà in ragione della maggiore autonomia impositiva e dei forti trasferimenti che ricevono dallo Stato centrale. Altra cosa, invece, il peso economico posto a carico delle Regioni a statuto ordinario del sud (Abruzzo, Molise, Campania,  Puglia, Basilicata e Calabria) dove l’impatto economico pro-capite sarà pari a circa 211 euro.  Le regioni a statuto ordinario del centro (Toscana, Marche, Umbria e Lazio), invece, subiranno tagli per 194 euro pro capite. Infine, le Regioni a statuto ordinario del nord (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto ed Emilia R.) subiranno tagli per 129 euro pro capite, mentre le realtà meridionali a statuto speciale (Sicilia e Sardegna), per 121 euro pro capite.
Da tali dati emergono in evidenza due considerazioni di fondo. La prima è che le nuove disposizioni sul patto di stabilità penalizzano le realtà amministrative che negli ultimi anni hanno gestito la propria spesa con  oculatezza e rigore. La seconda, che le nuove disposizioni avranno effetti pesanti sul Mezzogiorno, dove i governi regionali saranno costretti ad aumentare le tasse locali per mantenere un adeguato livello di servizi. Un’operazione questa che molto probabilmente creerà un clima generale molto ostile e soprattutto potrà essere un campanello dall’allarme sui futuri effetti della riforma sul federalismo fiscale.
 Per i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, in luogo delle restrizioni del Patto di stabilità viene previsto l’obbligo di esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali attraverso convenzione o unione tra Comuni. La dimensione territoriale ottimale per lo svolgimento delle funzioni associate è demandato alla legge regionale. Malgrado la portata innovativa di tali disposizioni la RT non è in grado di prevedere gli eventuali risparmi di spesa.
Altra disposizione del tutto incomprensibile nella formulazione è quella che stabilisce che i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possano più costituire società e soprattutto siano tenute a mettere in liquidazione, o a cedere la partecipazione, quelle già costituite a prescindere dal fatto che queste conseguano utili o siano necessarie allo svolgimento e alla gestione di attività per la collettività locale. Ai comuni tra 30.000 e 50.000 abitanti è consentita la detenzione della partecipazione di una sola società e conseguentemente è prevista la dismissione delle eventuali altre partecipazioni.
A margine delle misure per gli enti locali, il provvedimento affronta, poi, la questione dello squilibrio finanziario del Comune di Roma, provvedendo allo stanziamento di 300 milioni di euro a decorrere dall’anno 2011 per il concorso dello Stato al sostegno degli oneri relativi al Piano di rientro del debito. Altri 200 milioni di euro, possono essere conseguiti su richiesta del Commissario preposto alla gestione commissariale e dal Sindaco di Roma attraverso l’istituzione di un’addizionale sui diritti d’imbarco dei passeggeri in partenza da Roma e dall’incremento dell’addizionale comunale sull’Irpef. Per garantire la gestione ordinaria sono previste: l’introduzione di un contributo di soggiorno fino a 10 euro per notte a carico di coloro che soggiornano negli alberghi della città, di un contributo straordinario per le valorizzazioni immobiliari (contributo di costruzione), la maggiorazione dell’ICI per le case diverse dall’abitazione principale e l’utilizzo dei proventi a oneri di urbanizzazione.
Infine, viene stabilito, a soluzione di una lunga controversia, che la natura della TIA non è tributaria.
 
            D) CONTENIMENTO DELLE SPESE PER L’IMPIEGO PUBBLICO, LA SANITÀ, L’INVALIDITÀ E LE PENSIONI
Dal contenimento delle spese in materia di impiego pubblico, di invalidità e della spesa sanitaria e pensionistica, sono attesi risparmi a regime per un ammontare di circa 5 miliardi di euro, di cui 2,8 miliardi dalle misure relative alle pensioni ed al TFR e 580 milioni di euro da tagli alla spesa sanitaria. Nel merito:
Pubblico Impiego
Il livello di iniquità della manovra trova particolare conferma nelle disposizioni relative al pubblico impiego. Una parte consistente della manovra correttiva si fonda, infatti, sui risparmi di spesa posti a carico di 3,5 milioni di impiegati pubblici, i soli contribuenti, insieme ai lavoratori prossimi alla pensione, a dare il contributo per il ripianamento dei conti pubblici.
Nessun contributo diretto, invece, è stato posto a carico delle altre categorie di lavoratori e delle imprese e in tal senso a nulla valgono le affermazioni del Governo che richiamano le norme sulla lotta all’evasione quale contributo al risanamento dei conti pubblici, soprattutto in ragione del fatto che tutti i contribuenti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche sulla base della loro capacità contributiva e soprattutto nel rispetto delle leggi, ivi comprese quelle tributarie. 
Al contrario, in tutti i Paesi UE, le manovre realizzate dai singoli governi per mettere sotto controllo i conti pubblici hanno chiamato tutti i contribuenti e il sistema delle imprese a dare il loro contributo al risanamento.
E ciò che desta le maggiori perplessità è che la maggior parte del carico della manovra sul pubblico impiego è posta a carico dei lavoratori con redditi medio bassi, sui precari direttamente colpiti dal taglio dei contratti a tempo determinato e dal blocco delle assunzioni e sulle fasce più giovani dei lavoratori del comparto pubblico colpiti dal blocco delle carriere e degli scatti di anzianità che impedisce loro un adeguato avanzamento dei salari, in vero molto bassi nella fase iniziale della carriera.
Fino al 2013, infatti, i trattamenti economici complessivi dei lavoratori dipendenti sono congelati al trattamento economico in godimento nell’anno 2010, con ciò operando di fatto una sostanziale decurtazione dello stipendio in relazione all’andamento previsto dello stesso fino al 2013. 
Del tutto opinabili sono le disposizioni sul trattamento economico del personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche, superiore a 90.000 euro lordi annui (riduzione del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro) da cui sono attesi risparmi molto limitati (25 milioni di euro).
Nell’ambito delle operazioni sul pubblico impiego appaiono del tutto inaccettabili le misure relative al blocco degli automatismi stipendiali del comparto della scuola, già sottoposto ad un drastico piano di riduzione della spesa e di tagli indiscriminati agli organici del personale docente ed Ata dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Il blocco degli automatismi stipendiali comporterà risparmi – secondo quanto riportato dalla Relazione tecnica – superiori al miliardo di euro nel triennio 2011-2013.
In particolare, si prevede che per il personale docente e per il personale ATA della scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti.
Il blocco degli automatismi stipendiali rappresenterà una notevole perdita, in termini economici, per il personale docente e per il personale ATA. Si tratta di cifre rilevanti, che vanno ben oltre gli aumenti non ancora ottenuti per i rinnovi contrattuali: alcuni studi hanno quantificato la perdita in 1.823 euro l’anno per un docente di scuola elementare a metà carriera con un reddito di 23.000 euro lordi l’anno, e in 753 euro l’anno per i collaboratori scolastici.
 
Gli effetti recessivi delle misure sul pubblico impiego si ripercuoteranno non solo sul livello del reddito ma soprattutto sui consumi finali. 
Al contempo, la pubblica amministrazione viene sottoposta ad una serie di restrizioni che rischiano di minarne la funzionalità e l’organizzazione ottimale delle risorse. In tal senso, il blocco del turn over impedisce il necessario ricambio dei lavoratori, con l’immissione negli organici di giovani e nuove professionalità.
Nel riquadro n. 1 sono riportate in estrema sintesi le misure adottate per il pubblico impiego.
 
Riquadro 1 – Sintesi delle misure per il pubblico impiego
 
PUBBLICO IMPIEGO
 
-            per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio, non potrà superare il trattamento in godimento nell’anno 2010;
-            fino al 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche, superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro;
-            i rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008‐2009 ed i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico per il medesimo biennio non possono determinare aumenti retributivi superiori al 3,2%;
-            viene prevista l’estensione fino al 2013 ( ulteriori due anni) della limitazione al Turn over personale;
-            l’organico degli insegnanti di sostegno per l’anno 2010‐2011 dovrà rimanere invariato rispetto all’anno scolastico 2009/2010;
-            viene introdotto un sostanziale blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato;
-            relativamente alla mobilità in deroga, viene prevista la possibilità per il personale in soprannumero di essere impiegato presso uffici che presentano vacanze organiche;
-            vengono introdotte limitazioni alla possibilità per le amministrazioni dello Stato di avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (50 per cento della spesa sostenuta nel 2009);
-            per agevolare la riduzione degli assetti organizzativi i trattenimenti in servizio possono essere disposti esclusivamente nei limiti consentiti dalla proroga delle limitazioni al turn over; le risorse destinabili a nuove assunzioni in base alle predette cessazioni sono ridotte in misura pari all’importo del trattamento retributivo derivante dai trattenimenti in servizio;
-            le pubbliche amministrazioni che, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, non intendono confermare l’incarico conferito al dirigente, conferiscono al medesimo dirigente un altro incarico, anche di valore economico inferiore;
-            viene rideterminata l’indennità di impiego operativo per reparti di campagna e rideterminato il contingente di personale al quale viene corrisposta nella misura del 70% di quello determinato per l’anno 2008;
-            per gli enti di nuova costituzione, le assunzioni possono essere effettuate nel limite del 50% delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo
 
Invalidità civile
Altra misura che appare del tutto inaccettabile è rappresentata dalle nuove misure per la riduzione della spesa in materia di invalidità. La lotta alle false invalidità viene condotta dal Governo innalzando dal 74 per cento all’85 per cento il livello di invalidità necessario per accedere al beneficio economico dell’assegno mensile di invalidità e per consentire al cittadino di accedere alle altre prestazioni di invalidità civile, quali cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità. In sostanza, un norma di forte ingiustizia sociale che impedisce a numerosi cittadini in stato di grave salute, spesso respinti per questa loro condizione dal mondo del lavoro, di accedere alle cure ed alle misure di sostegno del proprio reddito. Da tali disposizioni sono attese minori spese a regime per 40 milioni di euro.
Altri 180 milioni di euro sono attesi invece dalla lotta alle false invalidità, attraverso 200.000 verifiche aggiuntive all’attività ordinaria di controllo nel biennio 2011-2012. Disposizione questa fortemente ottimistica, in considerazione del fatto che norme analoghe sono state già varate in passato senza, tuttavia, raggiungere mai gli obiettivi prefissati.
Forti perplessità destano, infine, le disposizioni che ridefiniscono la procedura di individuazione degli alunni in situazione di handicap e per il riconoscimento del diritto di tali alunni al docente di sostegno.
La norma in particolare prevede per l’anno scolastico 2010-2011 un contingente di docenti di sostegno pari a quello in servizio nell’organico di fatto dell’anno scolastico 2009-2010.
L’apposizione di un limite all’organico di docenti di sostegno vanifica di fatto la sentenza della Corte costituzionale n. 80 che, nel febbraio scorso, aveva stabilito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 413, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), nella parte in cui fissava un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno.
 
Pensioni e TFR
La manovra correttiva modifica il regime delle decorrenze per il pensionamento di vecchiaia ordinario, prevedendo un nuovo regime per le decorrenze del pensionamento anticipato. Per i lavoratori dipendenti, si prevede il diritto alla decorrenza del trattamento decorsi 12 mesi dalla maturazione dei requisiti previsti, mentre per gli autonomi, la soglia sale a 18 mesi. Il provvedimento si applicherà a partire dal gennaio 2011 ed è una delle poche misure “strutturali” del provvedimento, nel senso che dovrebbe essere applicato a tutti coloro che maturano i requisiti minimi per l’accesso al pensionamento a decorrere dall’anno 2011. La Ragioneria generale dello Stato, a tale proposito, stima che i risparmi di spesa ci saranno fino a tutto il 2045,  anche alla luce degli accresciuti livelli delle pensioni che risulteranno dal graduale aumento della quota contributiva. Il governo si attende quindi che le restrizioni alle uscite saranno efficaci per garantire tali risparmi.
Si dettano, poi, norme per armonizzare queste norme con le decorrenze delle pensioni dei lavoratori che accedono alla totalizzazione dei periodi assicurativi. In particolare, si prevede che i predetti lavoratori accedano al pensionamento con le medesime decorrenze previste, nel sistema generale, per i lavoratori autonomi. Queste norme valgono per i lavoratori che avevano in corso il periodo di preavviso alla data del 30 giugno 2010. È prevista una deroga, fino a un massimo di 10mila unità, per i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità, di mobilità lunga o percettori di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore.
Su tali disposizioni, tuttavia, si sollevano alcune considerazioni critiche.
La prima riguarda l’opportunità ed il mezzo prescelto per le nuove misure sul pensionamento dei lavoratori. La necessità di aumentare l’età pensionabile è un fatto opinabile e comunque sostenuto da più parti, ma ciò non giustifica una operazione in “regime di emergenza” e con misure inique che toccano solo alcuni lavoratori in procinto di pensionamento dal 2011 in poi.
La seconda è il rischio dell’effetto “annuncio” che spingerà numerosi lavoratori ad anticipare la richiesta di pensionamento, con ciò rischiando di vanificare buona parte dei risparmi attesi, come già sperimentato in passato, allorquando si sono registrate forti impennate nel numero delle uscite dal lavoro per pensionamento nei periodi immediatamente precedenti le riforme. In questo caso, l’effetto congiunto del ritardo delle finestre e della rateizzazione del trattamento di fine rapporto saranno un forte incentivo ad andare in pensione appena possibile.
La terza, è che le disposizioni in esame, proprio perché strutturali, comportano a tutti gli effetti un aumento dell’età di pensionamento. La normativa vigente prevede delle finestre di uscita “fisse”, quattro per vecchiaia e due per anzianità, a partire dalla data di maturazione del diritto. Pertanto, alla luce delle novità introdotte un dipendente privato che avesse maturato il diritto alla vecchiaia nel gennaio 2011 sarebbe uscito nel luglio 2011, mentre ora deve aspettare il febbraio 2012; se avesse maturato il diritto nel febbraio 2011, deve aspettare il marzo 2012 invece del luglio 2011. Lo scorrimento della finestra comporta, pertanto, mesi di attesa aggiuntivi, che variano secondo semplici calcoli da un minimo di sette ad un massimo di nove mesi per i lavoratori dipendenti, e da un minimo di dieci ad un massimo di dodici mesi per i lavoratori autonomi.
I risparmisono stimati a circa 1,2 miliardi di euro, in termini di saldo netto di cui una buona parte è dovuto al posticipo delle pensioni di vecchiaia per i dipendenti privati. Le predette disposizioni rappresentano un aumento dell’età di pensionamento in particolare per le donne, che in genere escono dal lavoro con trattamenti di vecchiaia. Per loro, infatti, è più difficile completare il percorso di anzianità contributiva necessaria a raggiungere i requisiti per anzianità. Da notare che anche coloro che potevano andare in pensione ad età inferiori a quelle della normativa grazie ai famosi 40 anni di contributi saranno ora costretti ad aspettare in media sei-sette mesi o anche un intero anno.
Insieme alle misure sul pensionamento, sono state introdotte misure di revisione dell’istituto dei trattamenti di fine servizio nel pubblico impiego (TFR) con le quali si dispone, per le situazioni di collocamento a riposo successive al 30 novembre 2010, il differimento nel tempo della prestazione maturata. L’importo del TFR rimane annuale se pari o inferiore a 90.000 euro, viene diviso in due rate annuali se d’importo compreso tra 90.000 euro e 150.000 euro ed in tre rate annuali se d’importo superiore a 150.000 euro.
Anche in questo caso, l’effetto “annuncio” della disposizione spingerà numerosi lavoratori ad anticipare la richiesta di pensionamento e conseguentemente del TFR, con ciò vanificando buona parte dei risparmi attesi dalla relazione tecnica. Dalle disposizioni sul TFR, infatti, l’esecutivo attende maggiori risparmi quantificati in 740 milioni di euro nel triennio 2010-2012.
 
 Riduzione della spesa del settore sanitario
Il settore sanitario è chiamato a contribuire alla riduzione della spesa pubblica per un ammontare di circa 1,2 miliardi di euro a decorrere dall’anno 2012. Circa 628 milioni di euro sono recuperati da tagli al personale sanitario e la restante parte, per un ammontare pari a 600 milioni di euro a regime da tagli alla spesa farmaceutica.
In particolare, si prevede la riduzione del livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale di 418 milioni di euro per l’anno 2011 e di 1.132 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012.
I risparmi di spesa deriveranno dall’applicazione al personale dipendente e convenzionato con il Servizio sanitario nazionale della sospensione – senza possibilità di recupero – delle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012, facendo salva la sola erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale.
Il contributo chiesto al settore è di rilevante portata ed andrà ad incidere fortemente sulla stabilità del posto di lavoro di migliaia di addetti del settore sanitario, prevalentemente precari. In conseguenza di tali misure, diversi servizi ospedalieri sono a rischio e con essi la funzionalità di numerosi nosocomi.
 
 Controllo della spesa sanitaria
 
Il decreto-legge prevede l’obbligo per le regioni sottoposte ai piani di rientro alla data del 31 dicembre 2009 che non abbiano completato, entro il medesimo termine, gli interventi strutturali di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del servizio sanitario previsti, pur avendo garantito l’equilibrio di bilancio, di portare a compimento detti interventi. A tal fine le regioni possono chiedere la prosecuzione del Piano di rientro, per una durata non superiore al triennio, ai fini del completamento dello stesso secondo programmi operativi nei termini indicati nel Patto per la salute per gli anni 2010-2012 del 3 dicembre 2009.
Il completamento degli interventi strutturali ed il pieno raggiungimento degli obiettivi rappresentano la condizione per la definitiva attribuzione delle risorse finanziarie, già previste dalla vigente legislazione, in mancanza delle quali vengono rideterminati i risultati degli esercizi a cui dette risorse si riferiscono.
Per le regioni già sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, commissariate alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, i Commissari ad acta procedono, entro 15 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto-legge, alla conclusione della procedura di ricognizione di tali debiti, predisponendo un piano che individui modalità e tempi di pagamento. Al tal fine, non possono essere intraprese o proseguite, fino al 31 dicembre 2010,
azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime.
 
                Contenimento della spesa farmaceutica
 
Il decreto-legge contiene disposizioni dirette a realizzare un contenimento della spesa farmaceutica, mediante lo spostamento di un volume di spesa pari a 600 milioni di euro annui dall’aggregato della spesa farmaceutica ospedaliera (di cui sono integralmente responsabili le regioni con conseguente onere a loro carico) a quello della spesa territoriale, che prevede, viceversa, meccanismi automatici di recupero dello scostamento, con responsabilizzazione anche delle imprese farmaceutiche.
La riallocazione della spesa determina:
a)     una riduzione della spesa farmaceutica ospedaliera per un importo di 600 milioni di euro;
b)    un incremento della spesa farmaceutica territoriale di 600 milioni di euro.
Tale eccedenza viene recuperata dalle regioni tramite la riduzione dei margini riconosciuti alla filiera distributiva dei grossisti per un ammontare a regime di 400 milioni di euro annui e la revisione del meccanismo del pay-back ovvero ponendo a carico delle farmacie circa 200 milioni di euro annui a regime.
In particolare il decreto-legge prevede che, nel rideterminare le quote di spettanza dei grossisti e dei farmacisti sul prezzo di vendita al pubblico delle specialità medicinali di classe A, il Servizio sanitario nazionale nel procedere alla corresponsione alle farmacie di quanto dovuto, trattenga ad ulteriore titolo di sconto, rispetto a quanto già previsto dalla vigente normativa, una quota pari al 3,65 per cento sul prezzo di vendita al pubblico al netto IVA.
Fra le altre misure finalizzate al recupero dell’eccedenza di spesa, si segnalano:
-       l’erogabilità, a decorrere dall’anno 2011, a carico del SSN in fascia A dei medicinali equivalenti non più per tutti i medicinali registrati, bensì solo per un numero limitato di specialità medicinali non superiore a quattro, individuate con procedura selettiva ad evidenza pubblica dall’Agenzia italiana del farmaco, in base al criterio del minor costo a parità di dosaggio, forma farmaceutica ed unità posologiche per confezione;
-       la riduzione del 12,5 per cento, a decorrere da giugno 2010 e fino al 31 dicembre 2010, del prezzo al pubblico dei medicinali equivalenti per contrastare il cosiddetto fenomeno degli extrasconti.
Le imprese del settore farmaceutico e le stesse farmacie hanno già sollevato numerose proteste in conseguenza dei tagli alla spesa farmaceutica, che mette a repentaglio la stabilità economica del settore.
 
 
E) MISURE DI MAGGIORI ENTRATE
Lotta all’evasione fiscale
Le misure sul contrasto all’evasione fiscale e contributiva suscitano numerose perplessità in quanto aspettative di rilevanti risultati vengono attribuite a misure la cui efficacia appare per lo meno dubbia. Il ministro dell’economia e delle finanze ha messo in campo un pacchetto di misure di “caccia agli evasori” la cui efficacia e credibilità è tutta da dimostrare, come d’altronde conferma la stessa relazione tecnica al provvedimento che non attribuisce maggiori entrate a tali disposizioni. Tutto ciò avviene quando il governo ha appena concluso una maxi operazione di condono (lo “scudo fiscale”) che ha, sì, portato soldi all’erario, ma offrendo agli evasori un ennesimo colossale regalo. La “caccia agli evasori” con cui il governo intende dare sostanza alla manovra correttiva, quindi, dopo l’abolizione di tutte le norme antievasione che il governo precedente aveva introdotto, rischia di risultare assai poco efficace.
A tale proposito si possono evidenziano alcune considerazioni critiche. 
Le misure relative all’aggiornamento del catasto prevedono l’emersione dell’immobile solamente ai fini della regolarizzazione catastale delle imposte evase negli anni, e quindi non sanano eventuali altri illeciti, come, per esempio, gli abusi edilizi. La norma prevede che la domanda di trascrizione di una locazione immobiliare debba contenere anche l’indicazione dei dati catastali del bene, stabilendo l’applicabilità delle relative sanzioni. La norma, di per sé utile ai fini dell’emersione fiscale degli immobili, in realtà appare appostata nel provvedimento per consentire, attraverso successivi emendamenti parlamentari o del governo stesso, il più volte annunciato condono edilizio che dovrebbe garantire nuove entrate una tantum a bilancio dello Stato da utilizzare per iniziative a discrezione dell’esecutivo.
Per quanto riguarda il redditometro, la novità annunciata non sembra molto clamorosa: l’inserimento nell’indicatore di dati già in possesso delle banche dati fiscali non cambia proprio niente, in quanto gli incroci sono possibili già adesso. L’innovazione, se così si può definire, è che l’accertamento scatta quando il reddito dichiarato è inferiore del 20% rispetto a quello accertato in via sintetica dal “redditometro”. Attualmente scatta se inferiore del 25 per cento. Il cambiamento riguarda la disponibilità di questo indicatore per i contribuenti, in modo che possano decidere se adeguarsi o no. Un meccanismo simile a quello degli studi di settore, insomma, che quindi, stando all’esperienza, sarebbe destinato a rilevanti contestazioni.
La manovra conta, poi, su misure che rischiano di riservarci sorprese negative. Un esempio su tutti. Nel provvedimento si mette tra i primi posti il contributo che anche i comuni possono dare alla lotta all’evasione, in considerazione del fatto che questi percepiscono già il 30 per cento delle maggiori somme riscosse a seguito della loro partecipazione all’attività di accertamento delle imposte, una percentuale che la manovra di questi giorni porta al 33 per cento. Ebbene, la relazione aiuta a far chiarezza su questo fronte. Risulta che nel 2009 e nei primi mesi del 2010 la partecipazione dei comuni abbia complessivamente condotto a maggiori accertamenti di imposte per 6 milioni di euro e a maggiori risorse riscosse per 450mila euro, di cui un po’ meno di 150mila sono andati ai comuni. Non è questo il modo con cui si pensa di saldare i conti degli enti locali e recuperare gettito all’evasione. C’è poi un altro aspetto finora non considerato, ovvero che molti comuni, proprio in ragione dei nuovi vincoli del Patto di stabilità, non potranno dotarsi di personale e strutture per condurre la lotta all’evasione fiscale, con ciò compromettendo gli attesi risultati. 
Le nuove misure sulla tracciabilità appaino prive di reale efficacia. Le disposizioni sull’uso del contante e dei titoli al portatore e le fatture telematiche per importi superiori a 3.000 euro, pur rappresentando un passo in avanti nella lotta all’evasione, scontano la mancanza di un disegno complessivo ed omogeneo di contrasto efficace all’evasione e all’elusione fiscale. Attualmente, infatti, le nuove tecnologie consentono di rendere “tracciabili”, o per lo meno molto più “tracciabili”, anche i redditi che finora non lo sono stati. A questo obiettivo tendevano le misure antievasione introdotte durante l’ultimo governo Prodi: conto corrente dedicato per i professionisti e pagamenti in contanti limitati a importi minimi; elenco clienti e fornitori per la tracciabilità dei rapporti economici tra le imprese; trasmissione telematica dei corrispettivi dei commercianti; impossibilità di girare gli assegni; anagrafe dei conti correnti; fatture telematiche per i rapporti economici con la pubblica amministrazione senza soglie di importo. Si trattava di misure logicamente coerenti, di un sistema organico per cercare di ristabilire una certa parità di trattamento tra i contribuenti, nonché di misure facilmente attuabili e con bassissimi costi data l’evoluzione delle tecnologie informatiche.
Guardando alle misure del governo attuale da questa prospettiva, i suoi limiti appaiono chiari: si cerca di escludere dagli obblighi di tracciabilità (utilizzo di mezzi diversi dal contante per pagamenti superiori a 5 mila euro e fattura elettronica per importi superiori a 3 mila euro) i contribuenti “normali” quelli, cioè, che non sono grandi imprese strutturate e che quindi possono facilmente suddividere i pagamenti in più tranches. Le misure introdotte, quindi, sembrano avere più un significato propagandistico e mediatico che una efficacia potenziale adeguata; anzi rischiano di non toccare affatto gli evasori veri e razionali che possono facilmente aggirare tali disposizioni.
A tale proposito, se si ritiene che la riduzione dell’evasione sia cosa utile, le misure antievasione varate dal governo Prodi e subito abrogate dal governo Berlusconi, andrebbero reintrodotte integralmente e andrebbe compiuto anche l’ultimo passo: avendo costituito l’anagrafe dei conti bancari è possibile oggi richiedere annualmente agli intermediari finanziari la trasmissione al fisco dei saldi finali di tutti i contribuenti, come avviene in Francia, Spagna e altrove. La disponibilità di queste banche dati, oltre a determinare un effetto di deterrenza imponente, consentirebbe ai funzionari del fisco di poter adottare una politica di verifiche e (se necessario) di accertamenti basata sul rapporto personale e diretto con ogni singolo contribuente, e non solo su parametri statistici medi come avviene oggi con i pur utili studi di settore.
Nell’ambito delle misure di lotta all’evasione appaiono del tutto sovrastimate le maggiori entrate attribuite alle restanti misure. In particolare, quelle attribuite al fenomeno delle imprese “apri e chiudi” e delle “imprese in perdita sistemica” e dal “contrasto d’interessi”, dalle quali sono attesi, nel complesso, circa 1,4 miliardi di euro nel 2011, 1,6 miliardi nel 2012 e oltre 900 milioni di euro nel 2013.
Altrettanto sovrastimati appaiono le maggiori entrate derivanti dall’ennesimo potenziamento dei processi di riscossione (potenziamento presente in alternanza con le misure sui giochi in molti decreti legge emanati dal Governo) che in questa occasione viene stimato in 400 milioni nel 2011, 1,5 miliardi nel 2012 e in 1,3 miliardi di euro nel 2013.
Quelle appena descritte sembrano francamente stime ottimistiche, così come quella sull’autocompensazione in presenza di debito su ruoli definitivi, stimata in 700 milioni di euro nel 2011, in 2,1 miliardi di euro nel 2012 e in 1,9 miliardi di euro nel 2013.
 
 
Pedaggi autostradali
 
La manovra correttiva, dopo il tentativo effettuato dal precedente Governo Berlusconi nel 2005, ripropone l’istituzione di pedaggi sui raccordi autostradali e sulle autostrade gestite direttamente dall’Anas. In sostanza, chi percorrerà l’autostrada Salerno – Reggio Calabria, i raccordi autostradali del nord o il grande raccordo anulare di Roma dovrà pagare un pedaggio.
Su tali disposizioni sorgono alcune considerazioni critiche. La prima è che la misura appare motivata dall’obiettivo non tanto di migliorare la funzionalità dei tratti autostradali direttamente gestiti da ANAS, quanto quello di ridurre il livello dei trasferimenti statali versio ANAS Spa, spostando l’onere sul contribuente.
L’altra considerazione è che il sistema di pedaggiamento a regime è del tutto ignoto e va costruito ed entrerà in vigore solo il primo gennaio 2012, salvo le solite mille proroghe. Le soluzioni sono due. La prima è che vengano costruiti nuovi caselli per l’accesso ai tratti autostradali, con ovvie ripercussioni sulla viabilità di tratti come il raccordo anulare di Roma, oppure, come avviene in Svizzera ed in Austria, mettendo in vendita tagliandi a durata che consentono l’accesso su tali tratti. Nel frattempo, il sistema provvisorio prevede un sovrapprezzo di 1 euro per le auto o di 2 euro per i camion da pagare ai caselli delle autostrade in concessione che si interconnettono con le autostrade e i raccordi Anas. Il sovrapprezzo, però, non potrà superare il 25% del pedaggio pagato per il resto del percorso. Così se un camionista ha già pagato almeno 8 euro di pedaggio pagherà il sovrapprezzo di 2 euro, altrimenti avrà uno sconto sul sovrapprezzo. La ratio è, ovviamente, non far gravare troppo il nuovo balzello sulle percorrenze brevi.
Ad ogni buon conto la misura dovrebbe fruttare 83 milioni nel 2010, 200 nel 2011 e 315 da quando andrà a regime. Tutte risorse che consentiranno allo Stato di risparmiare sui trasferimenti all’Anas per investimenti e manutenzioni straordinarie.
I commi 4 e 5 dello stesso articolo prevedono un leggero aumento (in due fasi) dei canoni che le concessionarie autostradali devono pagare all’Anas. Ragionevole, considerati gli abbondanti benefici di cui le concessionarie hanno goduto negli anni recenti, tra prolungamenti delle concessioni e adeguamenti tariffari secondo regole via via più generose. Gli introiti consentiranno di ridurre i corrispettivi stanziati nel contratto di servizio tra lo Stato e l’Anas: 45 milioni nel 2010 e 308 milioni negli anni successivi.
A partire dal 2012, pertanto, la mobilità su gomma dovrebbe fruttare nuove entrate per oltre 620 milioni di euro. Non è pochissimo, dato il già consistente apporto finanziario che automobilisti e autotrasportatori garantiscono alle casse dello Stato.
 
F) MISURE DI SVILUPPO
La denunciata debolezza della manovra finanziaria correttiva è confermata ed aggravata dai contenuti delle misure per lo sviluppo. Dall’esame della relazione tecnica allegata al provvedimento, nessuna delle disposizioni del Titolo III del provvedimento reca un onere a carico del Bilancio dello Stato, in ragione del fatto che molte di queste sono di natura meramente ordinamentale, altre sono una riscrittura di norme già esistenti ed altre finanziate tramite definanziamenti o recupero di risorse stanziate in origine per finalità diverse.
In tale ambito colpisce l’atteggiamento del Governo nei confronti delle aree del mezzogiorno del Paese, che dopo il saccheggio delle risorse del FAS, subisce una nuova ondata di misure demagogiche prive di contenuti reali. Il mezzogiorno, al di la degli annunci, è uscito dall’agenda delle politiche del Governo da ormai due anni e nulla fa presagire un cambio di rotta per il futuro prossimo.
L’efficacia delle disposizioni sulla fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, che prevedono la possibilità per le regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia di modificare l’aliquota o esentare dall’imposta Irap le nuove iniziative produttive, mediante investimenti in beni strumentali, nel proprio territorio, viene subordinata all’individuazione da parte di tali regioni di corrispondenti compensazioni nell’ambito dei propri bilanci. Considerato lo stato di difficoltà delle finanze delle regioni del mezzogiorno, in particolare per le vicende legate al settore sanitario, e la nuova stretta al Patto di stabilità introdotta proprio dal provvedimento in esame, non si comprende dove queste possano trovare, pur volendo, le risorse per finanziare l’esenzione Irap. Alla luce di tali brevi considerazioni, si può tranquillamente affermare che la misura non avrà alcun effetto sul rilancio e lo sviluppo imprenditoriale delle aree del mezzogiorno.
Analogamente, sollevano forti perplessità le disposizioni sulle “Zone a burocrazia zero” che paiono una riscrittura o peggio ancora l’annuncio della fine delle disposizioni relative alle “Zone franche Urbane”. Le zone franche urbane, introdotte dal Governo Prodi al fine di garantire lo sviluppo di talune aree economicamente svantaggiate attraverso la riduzione del carico fiscale gravante sulle imprese partecipanti, sono state individuate e finanziate con apposita delibera del CIPE del 2009 ma il loro avvio è stato sistematicamente prorogato nel tempo e messo a rischio dapprima con i tagli previsti dalla finanziaria 2010 e successivamente dalle misure di depotenziamento degli incentivi fiscali introdotte dal decreto legge “mille proroghe“. La misura introdotta dal provvedimento in esame, rispetto alle ZFU, si limita e semplificare l’attività procedimentale necessaria per l’avvio delle iniziative produttive in alcune zone del meridione senza affiancare a queste alcun beneficio fiscale. Tra l’altro, in aree dove l’attività imprenditoriale di matrice criminale è particolarmente diffusa, l’azzeramento dei controlli burocratici previsti per l’avvio di attività produttive rappresenta un ulteriore fattore di aggravamento della situazione di legalità delle aree del mezzogiorno che rischia di depotenziare ulteriormente la già difficile azione di contrasto alla criminalità in tali territori.
Dal lato delle politiche infrastrutturali, il Governo si limita a prevedere il sostegno finanziario di alcuni interventi infrastrutturali ritenuti prioritari, attraverso il recupero di risorse che non vanno a gravare direttamente sulle finanze pubbliche.
Il primo intervento prevede la revoca dei mutui accesi presso la Cassa Depositi e prestiti, entro il 31 dicembre 2006, con ammortamento a totale carico dello Stato, che non risultino erogati ai soggetti beneficiari e in relazione ai quali non siano stati aggiudicati i relativi contratti di appalto. Le risorse recuperate dalla revoca sono destinati in via prioritaria al finanziamento del MOSE e per la restante parte alla prosecuzione della realizzazione del programma delle infrastrutture strategiche. Considerato che si possono recuperare al massimo 635 milioni di euro, la disposizione in esame si configura come una goccia nel mare delle risorse necessarie per il completamento delle opere strategiche (174 miliardi di euro di cui poco più di 70 miliardi già finanziati ed circa 100 miliardi ancora da finanziare).
Il secondo intervento riguarda l’anticipazione di 32 milioni di euro, a valere su somme già stanziate, per l’avvio immediato di talune opere infrastrutturali ritenute necessarie per la realizzazione dell’evento Expo di Milano.
Il terzo intervento riguarda la fissazione al 30 settembre 2010 del bando di gara di affidamento della concessione di costruzione e gestione dell’autostrada del Brennero da parte di ANAS, del valore di 568 milioni di euro, con la previsione del versamento all’entrata del Bilancio dello Stato di 70 milioni di euro annui dal 2011 e fino alla durata della concessione da parte del soggetto concessionario.
Colpisce in modo negativo la disposizione di cui al comma 10 dell’articolo 8 che prevede una vistosa ed ampia dilatazione del potere di dichiarare la segretezza di opere, forniture e servizi pubblici. Com’è noto, alla secretazione corrispondono deroghe alla pubblicità e alle procedure concorre4nziali per gli appalti pubblici, e in tal senso non si comprende la finalità della norma e il vantaggio atteso per la finanza pubblica e la competitività del nostro sistema. E ciò che è più grave, è che la norma viene introdotta nel momento in cui emergono numerosi scandali e indagini giudiziarie nel settore degli appalti pubblici, ed in particolare nell’ambito dei cosiddetti “grandi eventi”. 
Il resto delle disposizioni sullo sviluppo rivestono o un carattere meramente ordinamentale o non hanno alcun reale effetto sull’andamento dell’economia e della competitività del Paese.
Le disposizioni sul “Regime fiscale di attrazione europea”, che consentirebbero ad imprese residenti in uno stato membro dell’UE di svolgere in Italia una nuova attività economica con l’applicazione delle regole fiscali dello Stato di residenza o di uno stato terzo, se da un lato possono favorire l’abbattimento di barriere all’ingresso nel nostro mercato economico produttivo e la crescita del livello concorrenziale nel mercato interno, dall’altro presentano il rischio di sfavorire il nostro tessuto imprenditoriale che, come noto, ha una pressione fiscale tra le più alte nell’ambito dell’Unione Europea. In sintesi non pare una buona idea e soprattutto una misura a vantaggio delle nostre imprese, e la stessa RT indica una previsione di soli 300 possibili beneficiari ed una stima di perdita di gettito di soli 30 milioni di euro nel 2013.
Gli incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all’estero sono la riscrittura di una norma già prevista dall’articolo 17 del decreto legge n. 185 del 2008 e non produce effetti finanziari a carico della finanza pubblica. Analoghe considerazioni possono essere formulate in relazione al Contratto di produttività che la stessa RT definisce “non quantificabile in considerazione dell’indeterminatezza della norma” e sulla disposizione relativa alla decontribuzione dei salari di secondo livello, il cui finanziamento è posto “a valere su risorse già disponibili e programmate a tali fini dall’articolo 1, comma 68, della legge n. 247 del 2007 nell’ambito del Fondo sociale per occupazione e formazione. Pertanto dalla disposizione non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.”
 
5.   Conclusioni
Con il provvedimento al nostro esame, il Governo conferma nuovamente un atteggiamento di inerzia, difforme dalle scelte adottate dai governi di altri Paesi che, al contrario, approfittando del periodo di crisi economica e dei mercati finanziari, hanno deciso di attuare non solo misure di indirizzo e sostegno alla loro economia ma soprattutto di affrontare il nodo delle riforme strutturali: a titolo esemplificativo, si pensi agli sforzi sostenuti delle amministrazioni degli Stati Uniti dapprima per il salvataggio del settore bancario ed assicurativo, a cui hanno fatto seguito misure di sostegno di alcuni comparti produttivi maturi, come il settore automobilistico, al rafforzamento del settore produttivo della green economy, il tutto accompagnato da alcune riforme strutturali come quella da ultimo proposta dal Presidente Obama relativa al settore sanitario. Su tale linea si sono attestati tutti i principali Paesi industrializzati e soprattutto i principali Paesi UE, come la Francia, la Gran Bretagna e la Germania.
Come già ampiamente emerso nel corso degli ultimi due anni, la nostra visione dei problemi e delle modalità per affrontarli è diametralmente opposta a quella finora sostenuta dall’esecutivo e della sua maggioranza, ed è incentrata sia sul rigore e la tenuta dei conti pubblici, sia su un chiaro indirizzo di sviluppo economico.
Nell’attuale fase congiunturale, l’Italia ha grandi problemi, ma anche le risorse sufficienti per resistere alla crisi e riproporsi da protagonista nel contesto internazionale e nel ciclo di sviluppo che verrà dopo la crisi: il nostro apparato produttivo, specie nella sua componente manufatturiera, è pronto, dopo la dura ristrutturazione del passaggio di secolo, ad approfittare di una possibile ripresa dei consumi nell’economia internazionale e della domanda di qualità Italia che può giovarsi dell’esistenza di nuovi consumatori apparsi di recente sullo scenario internazionale.
Ma queste potenzialità sono destinate a restare tali, se non viene in campo un progetto consapevole della politica che riduca i fattori di debolezza ed esalti quelli di forza, e soprattutto se non si abbandonano le posizioni conservatrici che si oppongono, sulla base di una logica di tutela neocorporativa dello status quo, all’apertura dei mercati, alla concorrenza e alle necessarie riforme strutturali del settore pubblico e privato.
Il paese oggi cresce troppo poco, quando addirittura non arretra perché paga un pesante deficit di competitività per i settori non sottoposti alla concorrenza: pubblica amministrazione ma non solo, anche settori protetti del terziario e dei servizi, della gestione di infrastrutture, delle professioni. E’ il momento non solo di combattere l’evasione fiscale ma anche di spostare il peso del fisco da impresa e lavoro a rendita e semplificare fortemente l’adempimento fiscale, di introdurre forme di conflitto di interesse che rendono il cittadino consumatore soggetto attivo nella lotta all’evasione. E’ giusto aumentare l’efficienza della pubblica amministrazione, ma non semplicemente tagliando facendo parti eguali tra efficienti ed inefficienti, ma premiando il merito. Bisogna intervenire sui meccanismi di formazione della spesa, non illudendosi di effettuare a posteriori tagli indifferenziati ed occorre riformare il sistema degli incentivi alle imprese, costoso, inefficiente e ingiusto. Su ognuna di queste tematiche verranno presentate in Parlamento apposite proposte emendative con l’obiettivo di sfidare e misurare la capacità del Governo per migliorare, per quanto possibile, il testo del provvedimento. 
 
 
A cura di Maurizio Coresi e Stefania Lanzone
 
 
7 giugno 2010