Intervento dell’on. Gero Grassi alla Camera dei Deputati su Taranto

Intervento dell’on. Gero Grassi alla Camera dei Deputati su Taranto

    
                   Intervento dell’on. Gero Grassi
                       Vicepresidente Gruppo PD
                              lunedì 8 luglio 2013
                             Camera dei Deputati
    
 
          ‘SIAMO TUTTI DI TARANTO’
 
 
 

Sono pugliese, ma di Bari.

Non sono mai intervenuto nei dibattiti precedenti sull’ILVA perché c’è il tempo del capire, quello del riflettere e quello del proporre.
Dal primo dibattito in questa Aula è passato diverso tempo e le situazioni di Taranto e dell’ILVA non sono affatto migliorate.
Anzi in alcuni momenti sembrano peggiorare in una congerie infinita di norme e provvedimenti che ne bloccano futuro e prospettiva.
 Approfitto del Decreto ‘Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale’ per offrire elementi di riflessione storica, senza comprendere i quali è difficile capire il dramma di Taranto e forse anche le soluzioni.
 In Puglia tutto viene dal mare: pirati, incendi, saccheggi, ruberie, mercanti, ricchezze, santi, monaci, madonne.
In Puglia nascono le prime Costituzioni marittime per disciplinare i commerci e la navigazione.
 Come scrive il grande giornalista pugliese Giuseppe Giacovazzo, recentemente scomparso, per diversi anni autorevole parlamentare: “Il mare ha fatto sì che i pugliesi amassero Ulisse, perché somigliano all’eroe di Itaca”.
 Ulisse amava il vento e il mare, come i pugliesi, stretti tra due mari e attraversati da maestrale e scirocco.
Ulisse navigatore e Ulisse che resiste a tante disgrazie e disavventure, come i pugliesi dominati da Bizantini, Longobardi, Franchi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi.
Taranto è la più greca città pugliese, a ragione considerata la perla dei filosofi pitagorici.
Taranto, la città dei due mari, dove il mare è chiamato solo Mediterraneo. Taranto la città del ponte levatoio dove lo Ionico e l’Adriatico sono fusi dal colore azzurro del mare e dalla ricchezza che ne deriva all’uomo.
I pugliesi vivono un rapporto col mare speciale.
I confini naturali della Puglia non sono la Basilicata, il Molise, la Campania.
Il confine è il mare. Con lui l’Oriente che dietro il mare si staglia con i suoi tanti misteri. Ecco perché i pugliesi sono gente di frontiera…
Nel milleottocento Taranto pensa che la città per emergere ed uscire dal soffocante e vetusto borgo antico deve trovare ossigeno e legittimazione in un polo industriale e militare, garantito e protetto dallo Stato…
 
 

           Intervento dell’on. Gero Grassi
                              Vicepresidente Gruppo PD
                      lunedì 8 luglio 2013
                     Camera dei Deputati
    
 
                 ‘SIAMO TUTTI DI TARANTO’
 
 
 

Sono pugliese, ma di Bari.

Non sono mai intervenuto nei dibattiti precedenti sull’ILVA perché c’è il tempo del capire, quello del riflettere e quello del proporre.
Dal primo dibattito in questa Aula è passato diverso tempo e le situazioni di Taranto e dell’ILVA non sono affatto migliorate.
Anzi in alcuni momenti sembrano peggiorare in una congerie infinita di norme e provvedimenti che ne bloccano futuro e prospettiva.
Approfitto del Decreto ‘Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale’ per offrire elementi di riflessione storica, senza comprendere i quali è difficile capire il dramma di Taranto e forse anche le soluzioni.
In Puglia tutto viene dal mare: pirati, incendi, saccheggi, ruberie, mercanti, ricchezze, santi, monaci, madonne.
In Puglia nascono le prime Costituzioni marittime per disciplinare i commerci e la navigazione.
Come scrive il grande giornalista pugliese Giuseppe Giacovazzo, recentemente scomparso, per diversi anni autorevole parlamentare: “Il mare ha fatto sì che i pugliesi amassero Ulisse, perché somigliano all’eroe di Itaca”.
 Ulisse amava il vento e il mare, come i pugliesi, stretti tra due mari e attraversati da maestrale e scirocco.
Ulisse navigatore e Ulisse che resiste a tante disgrazie e disavventure, come i pugliesi dominati da Bizantini, Longobardi, Franchi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi.
Taranto è la più greca città pugliese, a ragione considerata la perla dei filosofi pitagorici.
Taranto, la città dei due mari, dove il mare è chiamato solo Mediterraneo. Taranto la città del ponte levatoio dove lo Ionico e l’Adriatico sono fusi dal colore azzurro del mare e dalla ricchezza che ne deriva all’uomo.
I pugliesi vivono un rapporto col mare speciale.
I confini naturali della Puglia non sono la Basilicata, il Molise, la Campania.
Il confine è il mare. Con lui l’Oriente che dietro il mare si staglia con i suoi tanti misteri. Ecco perché i pugliesi sono gente di frontiera.
 Nel milleottocento Taranto pensa che la città per emergere ed uscire dal soffocante e vetusto borgo antico deve trovare ossigeno e legittimazione in un polo industriale e militare, garantito e protetto dallo Stato.
Nasce così nel 1883 l’Arsenale Militare marittimo sul presupposto che il territorio serve come spazio produttivo anzitutto, poi come spazio abitativo.
In un patto tacito i tarantini cedevano la propria autonomia progettuale per accogliere uno sviluppo ‘donato’ e abdicavano al ruolo di progettare e disegnare la propria città, in cambio di lavoro ed occupazione.
La installazione dell’Arsenale regio rappresenta una svolta epocale per la città.
Taranto è città militare nella prima e seconda guerra mondiale subendo l’umiliazione dell’11 novembre 1940, chiamata la notte di Taranto, quando è bombardata per ore ed ore.
Il lavoro non è mai mancato. Anche durane l’ultima guerra accanto a bombardamenti, morti, devastazioni aeree. Il lavoro non manca e a Taranto vengono da diversi comuni pugliesi per lavorare, ben sapendo che quel desiderio e quel bisogno può voler dire soprattutto morte.
Nel giugno 1944, quando l’Italia è ancora in guerra, Giuseppe Di Vittorio, sindacalista pugliese, tiene un comizio nell’Arsenale dinanzi a diecimila persone e sottolineava la funzione umana del lavoro e la dignità del lavoro.
Finita la guerra e cessate le operazioni militari, i tarantini restano soli, con le loro ferite e senza lavoro.
Inizia una grande battaglia, quella che ci porta a questo dibattito. I tarantini inseguiono il sogno di una ‘fabbrica promessa’ e di lavoro.
Perché Taranto non muoia’ è lo slogan del dopoguerra quando tutto il mondo lavorativo che ruota intorno all’Arsenale, quasi completamente distrutto e senza alcuna commessa, è alla fame. Possiamo affermare con certezza che nel dopoguerra a Taranto il dramma quotidiano è la fame, conseguenza di carenza di generi alimentari.
Taranto sembra città fantasma e lontana dall’Italia che riprende a vivere. La disoccupazione uccide la città fino a quando il ‘caso Taranto’ non ha eco anche in relazione al dibattito nazionale sulla industrializzazione del Mezzogiorno nello spirito del Piano Vanoni.
Il 4 luglio 1957 alla Camera dei Deputati, a conclusione della discussione generale sul Disegno di legge recante provvedimenti in favore del Mezzogiorno, il Ministro Pietro Campilli, in replica al relatore di minoranza, onorevole Giorgio Napolitano che intervenendo, ha sollecitato “Uno sviluppo dell’industria di Stato sganciata dai monopoli”, afferma: “L’azione dello Stato dovrà indirizzarsi a dare vita a quelle industrie che la privata iniziativa, per la dimensione degli investimenti richiesti, non ha la convenienza o la possibilità di assicurare. Prima fra tutte l’industria siderurgica”.
Il 31 luglio 1957, a Taranto,  in Consiglio Provinciale si ha notizia, non confermata, che il Gruppo Finsider è interessato a costruire a Taranto una grande ferriera capace di dar lavoro a cinquemila persone.
In occasione della inaugurazione della XXII Fiera del Levante, a Bari, il 7 settembre 1957 il Presidente del Consiglio Adone Zoli annunzia la creazione in Puglia di un nuovo “impianto siderurgico”.
Alla cerimonia di chiusura della Fiera del Levante di quello stesso anno, il Ministro del Lavoro Giulio Pastore, sindacalista, afferma: “Abbiamo in animo di localizzare le zone industriali, collegando direttamente la creazione di nuovi impianti industriali alla massima funzionalità delle opere di infrastrutture”.
Intanto a Taranto riprende la speranza di un lavoro diffuso e i dibattiti sul tema impervesano.
In uno di questi, organizzato dal Partito Comunista il 28 dicembre 1958, il relatore on. Giorgio Napoletano auspica con forza il proprio consapevole impegno in direzione di una politica di più attivo intervento dello Stato nel Mezzogiorno, in funzione della rottura con lo stato di stagnazione della disoccupazione e dell’economia pugliese.
Il 20 giugno 1959 il Presidente del Consiglio Antonio Segni comunica che a Taranto sorgerà il quarto impianto siderurgico d’Italia. La prima visita nel capoluogo ionico dopo tale decisione è del Ministro del Lavoro Giulio Pastore nel gennaio 1960.
Il 15 settembre 1961 iniziano i lavori e nasce l’Italsider alla presenza dei massimi vertici dello Stato. La città è in tripudio perché il lavoro è tornato tema di attualità. Taranto può rinascere.
Gli anni sessanta sono di crescita della città che si sviluppa sempre pi ù da un lato intorno agli insediamenti della Marina, dall’altro intorno all’Italsider dove migliaia e migliaia di famiglie trovano l’unica possibilità di lavoro.
Nel 1967 il Presidente del Consiglio Aldo Moro inaugura lo stabilimento della Shell.
Si consolida una città dove diversi elementi diventano inscindibili tra loro: da una parte il mare che a destra e a sinistra quasi bacia le guance di Taranto, dall’altra gli insediamenti militari della Marina, dall’altra ancora, ai bordi della città l’insediamento siderurgico dell’Italsider.
Nella città aumentano i negozi, le famiglie mandano i figli a scuola, acquistano le automobili, aumenta il livello di edificabilità. Il tenore di vita sale e migliora le condizioni generali del popolo.
Il lavoro prima di tutto e quindi sul tema del lavoro, anche per scarsa sensibilità sociale sul tema, il territorio e l’ambiente sono sacrificati.
Si edifica intorno all’Italsider. L’Italsider è inglobata nella città. L’Italsider diventa la città.
L’uomo ed il lavoro diventano sempre più temi centrali della vita tarantina e del dibattito sociale fino a quando si verifica un episodio che va ricordato, perché unico nella vita della città e della chiesa cattolica.
La notte di Natale 1968, negli impianti dell’Italsider, Papa Paolo VI celebra la funzione natalizia sottolineando come l’uomo senza lavoro è un uomo non realizzato che soffre e che non alimenta speranza di progresso per sé, la famiglia e la società.
Paolo VI, tra l’altro, dice:
Siamo qua venuti per voi, Lavoratori! Per voi Lavoratori di questo nuovo e colossale centro siderurgico; ed anche per gli altri delle officine e dei cantieri di questa Città e di questa Regione; e diciamo pure per tutti i Lavoratori dell’immenso e formidabile settore dell’Industria moderna (e non dimentichiamo neppure i Lavoratori dei campi, i Pescatori, gli Addetti ai cantieri navali, i Marinai, e quelli d’ogni altro campo dell’attività umana: voi ora tutti li rappresentate al Nostro sguardo).
Vi parliamo col cuore. Vi diremo una cosa semplicissima, ma piena di significato. Ed è questa: Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O Noi forse non vi comprendiamo abbastanza? Sta il fatto che il discorso è per Noi abbastanza difficile. Ci sembra che tra voi e Noi non ci sia un linguaggio comune. Voi siete immersi in un mondo, che è estraneo al mondo in cui noi, uomini di Chiesa, invece viviamo.
Voi pensate e lavorate in una maniera tanto diversa da quella in cui pensa ed opera la Chiesa! Vi dicevamo, salutandovi, che siamo fratelli ed amici: ma è poi vero in realtà? Perché noi tutti avvertiamo questo fatto evidente: il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte. Una volta non era cos ì. Ma questa separazione, questa reciproca incomprensione non ha ragione di essere.
Noi, proprio come Papa della Chiesa cattolica, come misero, ma autentico rappresentante di quel Cristo, della cui Natività noi questa notte celebriamo la memoria, anzi la spirituale rinnovazione, siamo venuti qua fra voi per dirvi che questa separazione fra il vostro mondo del lavoro e quello religioso, quello cristiano, non esiste, o meglio non deve esistere. Ripeteremo ancora una volta da questo centro siderurgico, che consideriamo ora espressione tipica del lavoro moderno, portato alle sue più alte manifestazioni industriali, d’ingegno, di scienza, di tecnica, di dimensioni economiche, di finalità sociali, che il messaggio cristiano non gli è estraneo, non gli è rifiutato; anzi diremo che quanto più l’opera umana qui si afferma nelle sue dimensioni di progresso scientifico, di potenza, di forza, di organizzazione, di utilità, di meraviglia – di modernità insomma – tanto più merita e reclama che Gesù, l’operaio profeta, il maestro e l’amico dell’umanità, il Salvatore del mondo, il Verbo di Dio, che si incarna nella nostra umana natura, l’Uomo del dolore e dell’amore, il Messia misterioso e arbitro della storia, annunci qui, e di qui al mondo, il suo messaggio di rinnovazione e di speranza”.
Dopo gli anni della grande occupazione e della speranza di un mondo migliore, arrivano gli anni dell’ILVA che rileva l’Italsider e che continua ad essere quasi unico propulsore di lavoro nella realtà tarantina.
Intanto da un lato aumenta la sensibilit à ambientale, dall’altro a Taranto si inizia a morire di malattia. I tarantini soffrono, muoiono ma continuano a convivere con la grande fabbrica.
Come poteva essere diversamente se interi quartieri si sono sviluppati ai bordi della grande fabbrica e respirano quotidianamente le polveri rosse?
Come poteva essere diversamente se nessuno ha mai avuto il coraggio di osservare che alcune strade importanti della città che lambiscono la fabbrica hanno l’asfalto rosso di polveri?
Come poteva essere diversamente se la proprietà privata ha sempre sacrificato la salute all’interesse economico e al profitto?
Come poteva essere diversamente se lo Stato, se molti di noi, abbiamo consentito che in gran parte del Mezzogiorno d’Italia il lavoro non fosse un diritto, ma solo un privilegio?
Forse per tutte queste ragioni non poteva essere diversamente, ma invece doveva essere diversamente.
Oggi siamo ad un bivio, anche perché mentre qui continuamo a discutere, Taranto muore lentamente e quotidianamente attraverso una pericolosissima agonia umana, sociale, culturale, economica.
Credo che il Governo abbia fatto benissimo ad emanare il decreto in discussione.
Credo anche, per ò, che non basti.
Serve altro, serve di più, ma serve soprattutto la consapevolezza che Taranto deve rinascere, come ha fatto già tante volte. Come è giusto che sia. Nell’interesse dell’Italia anzitutto.
Cosa serve a Taranto?
In pochissime parole bisogna rendere equilibrato il sottile filo che separa lavoro, ambiente e salute.
Elementi che non possono e non devono essere mai contrapposti. Da parte di nessuno.
Cos’altro serve a Taranto?
Il danaro per rendere compatibile il lavoro e la salute.
Una impresa strategica come l’ILVA non può e non deve morire, ma deve essere accompagnata per uscire dalla situazione di stallo in cui si è posta e nella quale ha trascinato con sé l’intera città.
Non si tratta di aiutare l’ILVA, ma Taranto.
Serve l’aiuto di Stato, non l’assistenzialismo, per allontanare dalla fabbrica le abitazioni più vicine.
Serve lo Stato per bonificare l’azienda.
Serve lo Stato per controllare che nessuno sacrifichi sull’altare del dio danaro la vita umana.
Servono controlli e serve prevenzione sanitaria.
Serve il danaro, ma serve lo Stato fratello, non oppressore.
Serve uno Stato capace da un lato di risanare l’azienda, dall’altro di ricreare la speranza verso un futuro occupazionale.
Serve, per esempio, la creazione della zona franca nell’area portuale e retroporuale di Taranto.
Le zone franche costituiscono uno strumento di fondamentale importanza per il rilancio economico di un punto produttivo strategico, anche per l’effetto trainante che esse determinano su vari settori.
Il porto di Taranto, secondo porto nazionale per il volume di traffici movimentati, ha l’urgente necessità dell’istituzione di una zona franca (oltre alla necessità di nuovi interventi di potenziamento infrastrutturale), al fine di non compromettere la sua capacità di reggere la concorrenza della portualità mediterranea e nord-europea nonché di contribuire a garantire la crescita dell’economia regionale e nazionale.
Com’è noto con la locuzione «zona franca» sono indicati alcuni istituti di diritto doganale, caratterizzati dall’applicazione a un determinato ambito territoriale di un particolare regime di esenzione doganale, genericamente configurato come finzione giuridica di estraneità della porzione territoriale costituita in zona franca rispetto al territorio doganale dello Stato.
 Il Decreto fa un passo avanti.
Ci dà una possibilità attraverso il Commissariamento straordinario che deve essere vissuto all’insegna della possibilità di andare avanti, non nella logica dei codicilli e dei tecnicismi.
Il commissariamento dell’azienda se da un lato non deve voler dire espropriazione, dall’altro deve prevedere e realizzare forme di coinvolgimento della città intera sugli obiettivi e sulle prospettive.
L’azienda deve essere riconsegnata alla città risanata e deve tornare ad essere industria che esporta tecnologia, innovazione, sicurezza sul lavoro, ottimi prodotti.
In tutto questo il Ministero della salute deve avere un ruolo centrale perché mai l’elemento lavoro sia sperequato rispetto a quello della salute.
Lavoro e salute viaggiano insieme e mai devono essere sacrificati.
E’ sbagliata la contrapposizione di Organi dello Stato, che spesso sembrano e forse agiscono in direzione contraria.
A Taranto l’equilibrio tra potere esecutivo, potere legislativo e potere giudiziario deve essere ristabilito.
A Taranto non si deve realizzare una contrapposizione tra Organi dello Stato. In una missione unitaria, tutti devono indirizzare la propria azione verso la rinascita totale della città.
Se è vero, come è vero, che la salute va sempre protetta, il lavoro non va criminalizzato.
E con il lavoro non va criminalizzato e colpevolizzato nemmeno chi si è battuto sempre per la centralità del lavoro ricordando che spesso lo si è fatto a mani nude, in una condizione sociale, economica, culturale dove anche la perdita di un posto di lavoro poteva diventare, come pure è successo, dramma sociale.
Con il lavoro non va nemmeno criminalizzato il sindacato che sempre si è battuto ed ha difeso il lavoro come mezzo di integrazione sociale di ogni persona.
La storia di Taranto e del lavoro nella citt à ionica passano attraverso le grandi battaglie sindacali del primo novecento, del primo dopoguerra, degli anni sessanta, degli anni novanta e anche degli ultimissimi anni.
Abbiamo visto anche in queste brevi riflessioni come avantieri Giuseppe Di Vittorio e Giulio Pastore, ieri ed oggi tanti uomini del mondo del lavoro e del sindacato si sono battuti per la città e per la salvaguardia del posto di lavoro.
Chi, con giudizi sommari ed evidentemente negativi, tenta di travolgere con un colpo di spugna l’intera esperienza del sindacato e del mondo del lavoro a Taranto, commette un duplice omicidio.
Da un lato uccide la verità storica perché senza sindacato il lavoro a Taranto sarebbe stato inferiore in termini di quantità e di qualità.
Dall’altro commette un errore di prospettiva: mai nella storia del mondo si è edificato sulle macerie umane e sociali, quasi che il domani non fosse la continuità dello ieri.
Concludo ricordando che a Taranto all’inizio degli anni ottanta io, come migliaia e migliaia di ragazzi dell’Italia meridionale, ho svolto il servizio di leva nell’Aereonautica. Altri lo hanno fatto nella Marina fino a quando la leva obbligatoria non è stata cancellata.
Quelle migliaia di ragazzi che sono passati da Taranto attraverso l’Aeronautica e la Marina, portano nel loro cuore il bellissimo ricordo della loro gioventù, ma anche quello di una città solare, ospitale, cordiale, umana, aperta.
Taranto, la città dove i due mari hanno attorno altiforni ed ulivi, simbolo di lavoro e di pace.
John Kennedy a Berlino il 26 giugno 1963 ha il coraggio di affermare: “Siamo tutti di Berlino (Ich bin ein Berliner)” contrapponendo ad una visione del mondo chiusa e dittatoriale, una idea di democrazia e libertà.
Voglio concludere, a bassa voce, dicendo che il mio augurio è che ognuno di noi italiani possa dire: “Siamo tutti di Taranto” e contribuire, attraverso l’associazione continua dei diritti e dei doveri, a ridare vita ad una città che oggi è senza futuro e senza speranza.