Incontro con Giulio Andreotti

Incontro con Giulio Andreotti


di Gero Grassi – Vicepresidente Gruppo Pd Camera
 
L’ultima presenza in Puglia del Senatore Giulio Andreotti risale a sabato 31 gennaio 1998, a Noci. L’evento fu organizzato dal Partito Popolare di Bari e dal senatore Nicola Fusillo.
Quel giorno ho avuto l’opportunità di accogliere Andreotti all’aeroporto di Bari Palese e di stare con lui sino alla partenza in treno intorno a mezzanotte. Dieci ore intensissime con un uomo che ha fatto la storia dell’Italia Repubblicana.
Sbarcato dall’aereo, in compagnia del fidatissimo colonnello dei Carabinieri che lo seguiva minuto per minuto, ci è venuto incontro, sotto una leggera pioggerellina, come un ragazzino pimpante. Con il tipico sorriso romanesco sulle labbra e a passo svelto. Aveva 79 anni, da poco festeggiati, portati benissimo. Sguardo intelligentissimo, la vita accanto a tanti onori, non gli ha risparmiato alcune amarezze. Modi gentili e garbati di chi, in punta di piedi e in modo sommesso, rappresenta un autorevole tratto della storia repubblicana dell’Italia.
Non sono mai stato andreottiano e quindi nulla in me può essere ricondotto a piaggeria. Nè tanto meno sono stato, in passato, tenero con Andreotti e gli andreottiani. Anzi sempre moroteo, nella DC di ieri, nel PPI di allora e nel PD di oggi, teoricamente potrei non essere scevro da pregiudizi ed antipatie…


di Gero Grassi – Vicepresidente Gruppo Pd Camera
 
L’ultima presenza in Puglia del Senatore Giulio Andreotti risale a sabato 31 gennaio 1998, a Noci. L’evento fu organizzato dal Partito Popolare di Bari e dal senatore Nicola Fusillo.
Quel giorno ho avuto l’opportunità di accogliere Andreotti all’aeroporto di Bari Palese e di stare con lui sino alla partenza in treno intorno a mezzanotte. Dieci ore intensissime con un uomo che ha fatto la storia dell’Italia Repubblicana.
Sbarcato dall’aereo, in compagnia del fidatissimo colonnello dei Carabinieri che lo seguiva minuto per minuto, ci è venuto incontro, sotto una leggera pioggerellina, come un ragazzino pimpante. Con il tipico sorriso romanesco sulle labbra e a passo svelto. Aveva 79 anni, da poco festeggiati, portati benissimo. Sguardo intelligentissimo, la vita accanto a tanti onori, non gli ha risparmiato alcune amarezze. Modi gentili e garbati di chi, in punta di piedi e in modo sommesso, rappresenta un autorevole tratto della storia repubblicana dell’Italia.
Non sono mai stato andreottiano e quindi nulla in me può essere ricondotto a piaggeria. Nè tanto meno sono stato, in passato, tenero con Andreotti e gli andreottiani. Anzi sempre moroteo, nella DC di ieri, nel PPI di allora e nel PD di oggi, teoricamente potrei non essere scevro da pregiudizi ed antipatie.
Dopo il primo attimo di sbigottimento dinanzi a un uomo che, nella sua vita, ha conosciuto Kennedy, Gorbaciov, Krusciof, Mitterrand, Eisenhover, Gheddafi, Arafat, De Gasperi, Togliatti, Nenni, Saragat, Linaudi, Papa Giovanni e Papa Paolo VI e l’elenco potrebbe continuare all’infinito, ho tentato, sulle prime timidamente, poi sempre con maggiore insistenza, di porgli alcune domande.
Le sue risposte? Precise, puntuali, storicamente datate. Per nulla infastidito, il Presidente Andreotti, sia in pubblico che in privato, non si è sottratto ad alcuna domanda, precisando in una occasione, con fare gentile, che a lui si possono rivolgere domande di ogni tipo, perché chi svolge attività politica non può e non deve sottrarsi.
Da amico e studioso di Moro, la prima domanda non poteva che essere: “Ritiene di aver fatto proprio tutto per salvare Moro?”
Il Presidente ha seccamente risposto: “Sì”, aggiungendo che il Governo da lui presieduto fece tutto, proprio tutto. Non si poteva accettare lo scambio con le Brigate Rosse, né di fatto ci furono possibilità serie di mediazione cui pure il Governo acconsentì. Anche il pagamento di un lautissimo riscatto fu tentato invano. Moro, ovviamente, in una condizione di estrema difficoltà quale quella del sequestro, non poteva che reagire duramente nelle sue lettere”. “Fu Moro che mi spinse all’impegno politico durante gli anni della FUCJ, anche se poi, in occasione della Costituente, presiedetti la Commissione Elettorale per la formazione della lista DC per il collegio Bari-Foggia, in quanto negli ambienti romani si temeva che Aldo non volesse andare in lista perché riteneva doversi dedicare allo studio”.
E una fonte di inesauribili riferimenti storici direttamente vissuti. A tal proposito, dice, con autoironia, di far parte del Vecchio e del Nuovo Testamento, con evidente riferimento alla Prima e Seconda Repubblica, sottolineando più volte come in realtà la Repubblica sia sempre la stessa, nonostante alcuni uomini siano cambiati.
“Presidente è esistito il CAF”? gli chiedo a bruciapelo, affettuosamente rimproverato dagli amici presenti, timorosi di ledere la sensibilità del gradito ospite.
“Ma, no. Assolutamente. Ritengo De Mita una delle più vive intelligenze che la DC abbia espresso. Il CAF fu una invenzione giornalistica. In realtà avevo Martelli, Vicepresidente del Consiglio e Craxi Segretario del PSI. Ognuno di loro voleva avere un rapporto privilegiato con me. Era una situazione difficile da gestire con Craxi che è fortemente permaloso e spesso vede ombre anche quando non ci sono”.
“Chi sono gli andreottiani .”
“Molti. Tranne me, che non lo sono mai stato.”
E continua “Prodi è bravo, è riuscito a superare una crisi difficile e sta lentamente portando l’Italia in Europa, quello che fu uno degli obiettivi principali di De Gasperi” guardando ad oggi.
“Le riforme più importanti in Italia sono state fatte durante la prima, l’unica legislatura in cui la DC ha avuto la maggioranza assoluta. Riforma agraria, riforma fiscale, istituzione della Cassa per il Mezzogiorno. Per voi pugliesi fu costruito l’Acquedotto Pugliese”, con un occhio a ieri.
“Togliatti ebbe un grande merito. Intuì, in occasione della Costituente, a differenza di molti socialisti, che la questione religiosa dovesse rimanere fuori dalla competizione politica. Per questo votò con grande slancio democratico l’articolo 7 della Costituzione”. “Fu bravo anche quando subì l’attentato da Pallante. Era facile perdere la calma. E pensare che Togliatti uscì dalla Camera per andare a prendere un gelato in quell’afoso luglio del 1948 mentre io parlavo del costo della carta “.
“Il 1948 fu un anno difficile: la tensione a Roma era altissima. Noi DC fummo bravi a gestire il processo di ricostruzione e di avvio alla democrazia. De Gasperi in questo fu un Maestro per noi tutti”.
“Non bisogna mai dimenticare che in Italia, durante la seconda Guerra Mondiale sono morti più soldati americani che italiani. Gli americani ogni tanto commettono errori che noi italiani abbiamo evidenziato e cercato di correggere. Dobbiamo a loro questa grande voglia di libertà e democrazia che ha coinvolto tutte le parti del mondo.”
“Fidel Castro già dagli anni ‘80 mi disse che voleva incontrare il Papa”. “Quando, dopo aver assistito ad un suo intervento all’incontro delle rappresentanze parlamentari a Cuba all’inizio degli anni’80, gli feci notare che aveva detto di non aiutare militarmente gli Stati del Centro America nonostante ci fossero prove certe che questi aiuti in armi erano stati dati, Fidel Castro mi rispose: Ho detto che non aiuto, no che non ho aiutato. Replicai, rispetto a questa sottigliezza, dicendo che avevo studiato alla scuola pubblica e trovavo lui che, invece, aveva studiato dai Gesuiti”.
E d’un fiato prosegue: “Dissi: meglio tirare a campare, che tirare le cuoia. Molti risero. Se avessi detto: Prius vivere, deinde philosofare, avrebbero detto che Andreotti conosce il latino”.
“L’incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II non si svolse a Teano, ma a Caianello. Immaginate un po’ se avessero detto Caianello, quante risate avrebbe suscitato. Caianello, però aveva una vocazione a diventare famosa. Lo è stata per Totò, oggi lo è per la bretella autostradale”.
“Le riforme? Non possono essere frutto di una parte. Bisogna ritrovare lo spirito costituente. L ‘Italia è un paese difficile. Serve un compromesso, che non è una brutta parola. Ma un modo per trovare quel clic unisce parti diverse, apparentemente distanti”.
Salta dagli arabi agli israeliti. Cita passi biblici e fa citazioni latine. Racconta di incontri in Russia, in Cina e nell’America Latina. Senza mai scomporsi, con una linearità esemplare e con una serenità spaventosa. Sembra quasi un tranquillo pensionato. In realtà è un uomo di Stato.
Quando gli chiesi come finirà il processo di Palermo mi risponde: “Come vuole il Signore”. Sostiene l’uso distorto dei pentiti ed accenna a pentiti che citano nomi di uomini che in realtà sono paesi. Ammette candidamente di avere un archivio e ringrazia Dio di averlo conservato.
“Altrimenti oggi sarebbe molto difficile difendermi”.
Parla della vicenda “Palermo” come se non lo riguardasse. Distaccato. Sereno. Tranquillo. Sono certo non fingesse.
Gli comunico che, in occasione del ventennale della morte di Moro, abbiamo pensato di riprodurre alcuni passi salienti del suo pensiero attraverso un CD ed un volume. E’ contentissimo. Aggiunge: “I giovani dovrebbero studiare Moro”. Gli parlo del prof. Renato Dell’Andro. Ed immediatamente mi risponde: “Renato carissimo. Valente giurista ed ottimo parlamentare”. Mi chiede notizie di Ninì Quarta, ex Presidente della Regione Puglia.
E’ la Storia vivente della nostra Repubblica con nomi e date precise. Potrebbe continuare per ore, mentre un pubblico di circa mille persone in religioso silenzio lo ascolta.
Sul finir della serata, mentre lo riaccompagniamo a Bari gli riferisco un curioso episodio. “Ero in giro per comizi con l’on. Giovanni Bianchi quando gli chiesi cosa pensasse di lei”. Mi rispose: “E’ una persona intelligentissima”. “E del processo?” “Non so. E’ difficile. So solo una cosa che, quando arriverà il momento del giudizio universale, il Padreterno di fronte ad Andreotti sarà in difficoltà”.
Andreotti ride di buon gusto dimostrando grande autoironia.
Pubblicamente ammette di aver commesso, in tanti anni di gestione, degli errori. Sempre però in buona fede e con l’occhio rivolto all’interesse dello Stato e dei cittadini.
Non spetta a noi emettere alcun giudizio. Mi ha colpito una sua frase. “In politica la migliore furbizia è la lealtà”.
La ringraziamo, Presidente, per aver voluto visitare quel giorno, la provincia di Bari, periferia dell’impero, dove tanti cittadini, giovani ed anziani, hanno trascorso quella sera ad imparare. Senza potere e senza prebende. Con grande umiltà e spirito di servizio.
Arrivederci, Presidente.