Il reato di immigrazione clandestina

Il reato di immigrazione clandestina


Il 2 aprile 2014 è stata approvata definitivamente la legge in materia di pene detentive non carcerarie e di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (L. n. 67 del 2014); essa reca all’articolo 2 una delega al Governo per la riforma del sistema sanzionatorio dei reati. Tra i principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, vi è anche l’abrogazione del reato di ingresso e soggiorno illegale, trasformato in illecito amministrativo.
La nuova fattispecie di reato dell’ingresso e soggiorno illegale, punita come contravvenzione con l’ammenda da 5 mila a 10 mila euro e attribuita alla competenza del giudice di pace è stata prevista dalla legge 94/2009 (parte integrante del “pacchetto sicurezza” varato all’inizio della scorsa legislatura) con l’introduzione dell’art. 10-bis del testo unico immigrazione. Si tratta del decreto-legislativo 286/1998 recante testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizione dello straniero, adottato in base alla delega contenuta nella legge 40/1998 (comunemente detta legge Turco-Napolitano). Il testo unico è stato modificato molte volte, in particolare, in modo significativo, dalla legge 189/2002 (c.d. Bossi-Fini) e, appunto, dalla legge 94/2009. 
In materia è intervenuta la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza 6 dicembre 2012, C-430/11 (caso Sagor). Con questa sentenza la Corte UE ha ravvisato l’incompatibilità di alcune disposizioni del testo unico in materia di immigrazione con la direttiva 2008/115/CE (c.d. direttiva “rimpatri”) recepita dall’ordinamento ad opera del decreto-legge 89/2011. 
In realtà, il reato di immigrazione illegale non è oggetto di sindacato della sentenza Sagor che anzi ribadisce il proprio orientamento secondo il quale la direttiva rimpatri non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare quale reato e lo punisca con sanzioni penali. Tuttavia, la Corte individua nella procedura penale connessa alla punizione del reato alcune misure che compromettono l’applicazione delle norme previste dalla direttiva, “privando quest’ultima del suo effetto utile”.
La prima misura risiede nella previsione, contenuta nella legge sulla competenza penale del giudice di pace, che la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato si converte, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi. Se il condannato non richiede di svolgere il lavoro sostitutivo oppure si sottrae ad esso si applica l’obbligo di permanenza domiciliare al massimo di 45 giorni (art. 55, D.Lgs. 274/2000). Secondo la Corte la previsione dell’obbligo della permanenza domiciliare applicata allo straniero irregolare contraddice il principio della direttiva secondo il quale l’allontanamento deve essere adempiuto con la massima celerità. Infatti, l’articolo 8 della direttiva prevede che gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria (da 7 a 30 giorni). E’ vero che il giudice può sostituire la pena dell’ammenda con l’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni (art. 16, comma 1 TU). Ma in questo caso l’espulsione è immediata; infatti l’art. 16, comma 2, TU fa rinvio per le modalità di espulsione all’art. 13, comma 4, TU, relativo espulsione con accompagnamento alla frontiera, e “immediata”, come definita dal successivo comma 5.
E qui interviene la seconda censura della Corte che ribadisce che la facoltà di sostituire l’ammenda con l’espulsione non è di per sé vietata dalla direttiva, ma tuttavia l’espulsione immediata, ossia senza la concessione di un periodo di tempo per la partenza volontaria, può essere disposta esclusivamente in presenza di precise condizioni (quali il pericolo di fuga ecc.) e che “qualsiasi valutazione al riguardo deve fondarsi su un esame individuale della fattispecie in cui è coinvolto l’interessato” e quindi non può applicarsi automaticamente allo straniero per il solo fatto di essere in posizione irregolare e condannato per il reato di immigrazione clandestina.