IL PAESE NUOVO – Il diritto alle cure, per tutti e la situazione attuale

IL PAESE NUOVO – Il diritto alle cure, per tutti e la situazione attuale

di Gero Grassi
 Vicepresidente Commissione Affari ASociali Camera Deputati

 

 
Trenta anni fa, con la legge 833/1978, veniva istituito in Italia il Servizio Sanitario Nazionale finanziato con la fiscalità generale. La cura, la prevenzione, l’assistenza divennero diritti per tutti i cittadini, indipendentemente dalle condizioni sociali e dal reddito. Oggi, in Italia, quando entri in ospedale nessuno ti chiede se hai la carta di credito o l’assicurazione, come in altri paesi. Quel giorno di 30 anni fa furono abolite le mutue. Allora chi non aveva la mutua, non aveva neanche diritto di essere curato. Da allora l’Italia è un po’ più civile.
Il Servizio sanitario nazionale è anche una delle più importanti imprese sociali del Paese. Lo è per la sua missione naturale che è quella di assistere ogni giorno, milioni di cittadini, fornendo loro tutte le prestazioni sanitarie essenziali, senza alcuna discriminazione di ceto, categoria, residenza, età e sesso. E in questi 30 anni di attività il Ssn ha ampliato la sua offerta e decisamente migliorato le sue performance, con una spesa complessiva a carico dello Stato che resta in modo stabile inferiore alla media europea.
Con uno degli ultimi provvedimenti del  Governo Prodi era stato poi ulteriormente sviluppato il “paniere” dei servizi e delle prestazioni offerte a tutti i cittadini, arrivando ad oltre 5.700 tipologie di prestazioni e servizi per la prevenzione, la cura e la riabilitazione.
Ma il Ssn è un patrimonio italiano anche per il suo valore aggiunto nel contesto economico generale. La sanità italiana rappresenta infatti uno dei più importanti comparti di attività del Paese. Lo è dal punto di vista finanziario ed economico, dal punto di vista occupazionale e produttivo, per il valore aggiunto in termini di know how nella ricerca scientifica, tecnologica e nelle scienze mediche, gestionali e organizzative.
Solo alcuni dati per fotografare questa realtà:
·    le persone occupate nelle oltre 250 mila unità locali che compongono la filiera della salute ammontano complessivamente a quasi 1,4 milioni (corrispondenti a più del 6% delle forze di lavoro occupate nell’intera economia).
·    il valore aggiunto diretto e indotto derivante dalle attività della filiera della salute sorpassa i 149 miliardi di euro, pari all’11,1% del PIL dell’intera economia nazionale;
·    i servizi sanitari contribuiscono direttamente e indirettamente per il 7,1% alla formazione della ricchezza nazionale, la distribuzione di farmaci e prodotti medicali per il 2,4% e l’industria della salute per il rimanente 1,6%.
Oggi, le garanzie di tutela e promozione della salute e il patrimonio economico e sociale rappresentato dal Ssn, sono sottoposti ad un attacco senza precedenti da parte dell’attuale Governo.
Un attacco iniziato con l’annullamento del provvedimento di ampliamento dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) varati dal Ministro Livia Turco, che è intenzione del Governo Berlusconi sostituire con una lista di prestazioni sanitarie molto più ristretta.
Un’idea di ciò che ha in mente il Governo ce l’ha data la lista dei nuovi Lea, che prevede tagli per un totale di 2 miliardi di euro da scaricare direttamente sui cittadini obbligandoli a pagare di tasca propria innumerevoli analisi di laboratorio e indagini diagnostiche (comprese Tac e Risonanza magnetica), oggi a carico del Ssn.
Questa operazione ha trovato per il momento lo stop delle Regioni ma la partita è tutt’altro che chiusa.
Il secondo passo del Governo è stato compiuto con la manovra economica di luglio: un taglio secco al fondo sanitario nazionale di 5,5 miliardi di euro in tre anni che obbligherà le Regioni a una vera e propria riduzione delle prestazioni e dell’assistenza. Con il risultato di liste d’attesa ancora più lunghe e con il rischio di intaccare la qualità e l’appropriatezza delle cure mediche, come hanno già denunciato i medici e gli altri operatori del Ssn.
Il terzo passo è contenuto tra le pieghe del bilancio della prossima finanziaria, dove è stato effettuato un taglio di 1,2 miliardi di euro ai fondi per la nuova edilizia e tecnologia negli ospedali, stanziati l’anno scorso dal Governo Prodi.
Questi tre atti di forte riduzione dell’investimento nella sanità pubblica sono stati compiuti in questi primi mesi di Governo e sono passati di fatto sotto silenzio, ben occultati dietro le vicende di Napoli, di Alitalia e della crisi dei mercati.
Tre azioni, gravi di per sé, ma ancora più pericolose perché rappresentano solo l’anticipo di quella che è una vera e propria messa in discussione della stessa esistenza del Ssn, così come oggi garantito.
Mentre Tremonti provvedeva a tagliare, infatti, Sacconi diffondeva il suo Libro Verde sul Welfare, la cornice entro la quale si sta delineando la vera visione di sanità di questo Governo. Il tutto a partire da una premessa, fondante i ragionamenti successivi, che si dà quasi per scontata: il Ssn non è finanziariamente sostenibile in un futuro anche prossimo.
Nessuno mette in dubbio le difficoltà economiche del Pese e, quindi, le difficoltà a reperire finanziamenti adeguati per il Fondo sanitario nazionale. Ma è proprio in momenti di recessione economica come questi che si impone la assoluta necessità di non ridurre le tutele delle esigenze più elementari dei cittadini come quello del diritto alla salute tanto più che il nostro Ssn, pur avendo aumentato di molto le sue prestazioni, continua ad assorbire risorse che restano stabilmente al di sotto della media europea e in costante rapporto con il Pil (negli ultimi 10 anni l’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Pil è passata dal 6,2 al 6,7% con una crescita di soli 0,5 punti e quindi inferiore a quella registrata nello stesso periodo dal nostro prodotto interno lordo). In Francia la spesa è maggiore (2 punti in più) come in Grecia (9,1% del Pil), Portogallo (10,2%), Canada (10%), USA (15,3%). La storia degli ultimi 60 anni dimostra che i Servi Sanitari Nazionali sono di gran lunga sistemi di tutela della salute più efficaci e meno dispendiosi di quelli assicurativi pubblici e privati. Nella recente campagna elettorale americana la riforma sanitaria è stato uno dei temi centrali del dibattito. Quindi negli annunci del Ministro Sacconi c’è molta strumentalità sostenuta da una volontaria confusione di cifre. L’evocazione del collasso economico-finanziario della sanità, in realtà, serve a giustificare la vera finalità del Libro Verde che è quella di spostare notevolissime poste finanziarie, dell’ordine delle decine di miliardi di euro, dal settore pubblico a quello privato.
Per la prima volta viene esplicitamente dichiarata la volontà di smontare il sistema universalistico guidato dalla programmazione regionale e dagli oibiettivi dai sanità pubblica e di sostituirlo con una sanità minima per i più poveri e un sistema privatizzato ad alti costi per chi paga o ha l’assicurazione. È la strada che porta al grande supermarket delle prestazioni sanitarie, appropriate o inutili non importa. E a mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Candidamente il Ministro Sacconi dichiara, a pagina 20 del Libro Verde, che nella sanità occorre “ridurre il pilastro pubblico”.
A chiarire la posta in gioco ci ha pensato però lo stesso presidente del Consiglio Berlusconi che, solo poche settimane fa, ha dettato la sua ricetta per curare i mali della sanità: privatizziamo gli ospedali e diamo la totale autonomia fiscale alle Regioni.
Quanto alla prima ricetta (la privatizzazione degli ospedali) è opportuno ribadire che non esiste nessun pregiudizio ideologico nei confronti del privato che del resto è già fortemente presente nel Ssn. La media nazionale dei posti letto privati supera il 20% e, in alcune regioni (Lazio, Campania, Calabria, Sicilia), la percentuale oscilla tra il 30 e il 50% senza contare poi l’ancor più forte presenza del privato nella fornitura delle prestazioni specialistiche. Per amore della verità non va sottaciuto però che nelle regioni in cui maggiore è la presenza del privato, quasi sempre, la spesa è fuori controllo e spesso inadeguate sono le prestazioni erogate ai cittadini. Non è quindi vero che nel nostro paese più privato equivalga a più qualità e più efficienza.
Come sappiamo la seconda ricetta è già in via di attuazione con il ddl sul federalismo fiscale approvato dal Governo e sul quale dobbiamo vigilare attentamente, pretendendo un dibattito chiaro in Parlamento, per evitare che esso si traduca in una penalizzazione del Ssn, come del resto le prime analisi dello stesso Ministero del Welfare evidenziano. Secondo gli esperti di Sacconi, infatti, l’applicazione del federalismo fiscale porterà ad un taglio della spesa sanitaria pubblica di 4,7 miliardi l’anno.
Questo è il quadro.