IL CONFRONTO DELLE IDEE – Paolo Vallarelli si racconta

IL CONFRONTO DELLE IDEE – Paolo Vallarelli si racconta

…e ci parla del suo nuovo romanzo
 
a cura di Maria Teresa De Scisciolo
 
Con il Patrocinio del Comitato Feste Patronali Paolo Vallarelli porta in stampa un racconto per ragazzi, ispirato dalla grande macchina da festa dei terlizzesi: il Carro Trionfale. Lo abbiamo incontrato per conoscere in anteprima il contenuto del racconto e capire quale posizione occupa nella sua scala di valori la passione per lo scrivere.
In occasione della Festa Patronale presenterai un racconto per bambini. Di cosa si tratta?
‘Tutta colpa di una stella cadente’ è il titolo. Un astronauta di un ipotetico pianeta sconosciuto finisce sulla Terra. Il suo velivolo in avaria si posa su un palazzo della nostra città, nel bel mezzo della sfilata del Carro. Ad accoglierlo tre bambini e una gattina. Un racconto che parla di accoglienza, di speranza, di fiducia. Mi ha emozionato il personaggio venuto da lontano: ho marcato il suo senso di ritrovarsi perso in un luogo a lui sconosciuto. Oggi siamo troppo soli e persi dentro, credo. Un racconto fantastico che è una sorta di parabola della vita.
Quando pensi a qualcosa di reale, quale molla scatta in te per trasformare il tutto in racconto fantastico?
Lo insegnano nei corsi di scrittura creativa: non aver paura di raccontare l’impossibile quando scrivi. Ne ho frequentati un paio su internet. Insegnano a far scattare le ‘molle’ come dici tu. In questo caso la stella del Carro diviene trait d’union con la stella che ha sperduto l’astronauta sulla nostra cittadina. E lo aiuterà a ritornare a casa.
Tu nasci giornalista e poi ti scopri scrittore di romanzi. Quando avviene la conversione e perché?
Giornalista è una definizione inappropriata per me. Non sono nemmeno pubblicista, forse lo divento a breve. Credo che le cose si completino strada facendo. Prima o poi vuoi dare corpo e anima a qualcosa che è solo tuo. Non sempre accade; ci saranno giornalisti che non diventeranno mai scrittori, di contro ci saranno giornalisti che faranno convergere le due strade.
Quanti libri hai scritto fino ad oggi?
Credo una diecina. Ma la mia è una letteratura minimalista, come definiva Carver i suoi scritti. Scrivere cose brevi mi affascina e non ti consuma. Però è molto difficile perché in poche pagine di un racconto devi sviluppare incipit, trama e conclusione.
A quale sei più affezionato?
Credo che La camicia insanguinata rappresenti per me tanto. Scrissi quel romanzo breve (o racconto lungo) in poche notti. Conservo gelosamente ancora la bozza nel notebook e alcuni appunti scritti a mano, con tanto di cancellature e riscritture. Forse nessuno si aspettava che scrivessi di Gioacchino Gesmundo in maniera romanzata. Fino ad allora erano state pubblicate solo biografie.
L’ispirazione esiste ancora o basta sedersi a tavolino e programmare la stesura di una storia?
Certo che esiste. Parti mentalmente da un plot. Lo rimetti nell’ordine giusto e puoi iniziare a pensare alla stesura. Per me funziona così. Ma l’ispirazione esiste ancora. Un mio racconto, ad esempio, è nato mentre viaggiavo sull’autostrada, diretto in Abruzzo.
Ti affascina la storia cittadina?
Sì, adoro le pubblicazioni che parlano della città negli anni ’48 e ’60 dell’Ottocento. Noi siamo figli di quel secolo. La città aveva già una sua forza identitaria vergata con lettere dorate da figure politiche di rilievo e uomini di cultura straordinari.
Su quale personaggio terlizzese ti piacerebbe imbastire una storia?
Su Michele De Napoli. Ha un volto austero, adatto per una grande trama di un romanzo di Dostoevskij. Se fosse coevo di registi come Coppola o Scott o Tornatore non sfigurerebbe in un grande thriller storico. Ma una grande idea ce l’ho: un romanzo ambientato nel periodo in cui risiedeva a Napoli, quindi prima che ritornasse a Terlizzi.
Scrivi libri per ragazzi ma anche per adulti. Cosa ti appaga di più e perché?
Scrivere narrativa non mirata mi piace moltissimo. Mi appaga di più perché puoi spaziare in ogni campo e prospettiva. Scrivere racconti per ragazzi è ugualmente stimolante: è come se di continuo cercassi un confronto con il ragazzo che ero con i ragazzi di oggi. Cerco di limare le differenze generazionali. Forse nel mio caso funziona, ma in alcuni casi potrebbe non funzionare. È il lettore che legge la sua sentenza finale: potrebbe non identificarsi in quel contesto, può approvare come potrebbe bocciare.
Tu hai cominciato a scrivere sul nostro giornale, che ricordo conservi di quel periodo?
Bellissimo. Era il 2003. Credo fosse settembre. Vi arrivai per caso, con un invito del tipo: “Vado a una riunione di redazione, vuoi venire?”. Fu un amico che mi ci portò una sera. Da allora non ho più smesso di scrivere. Ricordo la mia prima intervista: lunghissima e impubblicabile. Fui bocciato al primo colpo. Poi in sequenza creai account email per i redattori, sito internet e blog: oggi ogni quotidiano ha una finestra sul web. Fui anticipatario di una tendenza, ma non me ne vanto. Poi iniziai a leggere con frequenza i quotidiani generalisti e di approfondimento: lo faccio ancora adesso; solo così puoi assimilare il linguaggio giornalistico e farlo tuo. Ma preziose sono state le lezioni prese da una persona che si chiama Maria Teresa De Scisciolo. Oggi curo una rubrica culturale per un altro mensile. È una rubrica seguitissima, basata sulla essenzialità e sintesi, figlia naturale di quella formazione iniziale. La amo molto, è la mia creatura intima che cresce sempre più.
Quale autore terlizzese stimi di più e perché?
Stimo Michele De Santis. È grazie a lui se buona parte di quella Storia locale di cui parlavo prima possa considerarsi riscoperta e non persa per sempre. Ma apprezzo le pubblicazioni di Gero Grassi, Nino Caldarola, Gaetano Valente e Andrea Vendola. Quest’ultimo l’ho incontrato di persona. Mi ha intenerito molto dialogare con lui.
E quale scrittore in assoluto preferisci?
Potrei fare l’acculturato di facciata se facessi il nome di qualche autore classico. Ma fra tutti adoro Carlos Ruiz Zafòn: mi ha tenuto sveglio fino a tardi L’ombra del vento.
In famiglia come giudicano questa tua passione?
Credo che si compiacciano di questa mia passione. Io non chiedo mai se quello che pubblico piace. Non lo chiedo mai a nessuno. Sorrido perché mia figlia Emanuela legge Fabio Volo. Sta crescendo e Fabio Volo sa conquistare i più giovani con le sue frasi profonde. Lei compra spesso libri. È molto critica nei miei confronti. Ma il fatto che legga è importante: lo considero un nutrimento necessario. Non ricordo chi diceva: “Scrivere non serve per farsi vedere, ma per vedere”.
Sei invitato spesso a parlare dei tuoi libri a scuola. Immaginavi qualche anno fa di poter avere questo tipo di richiesta?
Assolutamente no. Ricordo i primi tempi che lo facevo: ero emozionato più degli studenti. Ma è un contesto bellissimo. Loro pensano che uno che scrive abbia subìto chissà quale folgorazione ascetica. Invece concludo sempre gli incontri affermando che tra loro un giorno qualcuno scriverà un bel romanzo.
Per concludere parlaci del sogno che hai nel cassetto.
Posso tirarne fuori due? Pubblicare con Mondadori. Ma so che non accadrà mai. Ma vorrei fare qualcosa per la Cultura in questa città, che non sia la semplice pubblicazione. Promuovere in maniera continuativa letture pubbliche, contest letterari sui martiri, corsi di scrittura creativa. Tutto quello che possa servire a creare riflessi positivi per il futuro. In sostanza, la sintesi di quello che affermava Checov: “Non dirmi che la luna splende, mostrami il riflesso della sua luce nel vetro infranto”.