EUROPA – Noi di Quarta Fase, insieme nel PD

EUROPA – Noi di Quarta Fase, insieme nel PD

Noi di Quarta fase, insieme nel PD
di Gero Grassi
 
Assisi due, un anno dopo, è stato anche meglio della prima edizione. Organizzativamente e politicamente. I cattolici nel Pd ci sono e sanno stare insieme. Con Quarta Fase vogliamo unire e non dividere. Hanno l’ambizione di un Pd nel quale le provenienze non siamo una barriera, ma lo stare insieme sia dato dalla consapevolezza di dove andare e cosa fare.
Quarta fase non è parte, è consapevolezza morotea che “in questi anni non è mancata una reciproca inf1uenza tra le forze Dc e Pd e quale che sia la posizione nella quale ci si confronta, qualche cosa rimane di noi negli altri e degli altri in noi”.
È l’ idea di Aldo Moro di tenere insieme i riformisti italiani. Quarta Fase non ha tessere. Basta aderire, senza versamento. Non ha organi. Non è strutturata per essere un partito nel partito, nè una corrente antipartito. Moro, del gruppo dei suoi amici diceva che era come il Colosseo: una casa senza porte dove chi vuole viene e resta, chi vuole andare via lo può fare liberamente. Poi aggiungeva, non senza l’amarezza che spesso la vita e la politica regalano,
che chi è andato via non ha lasciato nemmeno quello che aveva preso. E non ha ringraziato. Era quella di Moro l’idea non di una setta né di un’armata pronta a sovvertire l’ordine regnante. Era l’idea di un gruppo di cattolici impegnati a programmare il futuro, non a gestire il presente.
Un gruppo di persone volte a costruire le condizioni di una società migliore. Non un gruppo di pressione politica, economica o culturale.
I cattolici di Quarta Fase vogliono impegnarsi per includere dentro la società e dentro il Pd. Non hanno alcun complesso di inferiorità, ma non accettano di essere considerati nè una setta, né una riserva. Non lo sono. Rispettano gli altri e pretendono rispetto da tutti.
In un grande partito come il Pd ognuno può stare come vuole, ma nessuno può contestare a tanti di voler stare insieme e di saper stare insieme. Non per arroccarsi in posizioni di retroguardia o a difesa di particolarismi, ma perché pensiamo a un partito strutturato, organizzato, in grado di far crescere e selezionare una nuova classe dirigente, capace di superare dualismi o rivalità che hanno nuociuto ai partiti di provenienza e che non vogliamo riprodurre. Vogliamo stare insieme per parlare a quel mondo che spesso, non frequentando i salotti della politica o dell’economia, aspetta risposte concrete ai bisogni quotidiani.
Vogliamo stare insieme per provare a rimettere al centro della politica la persona e non l’economia. Per ribadire che il partito viene dopo lo stato e che lo stato viene dopo la persona, senza della quale non esiste società. Abbiamo l’ambizione, il desiderio, la speranza, il segno di una sanità nella quale al centro sia il paziente. Vogliamo ribadire e rilanciate una scuola nella quale il diritto all’istruzione non sia subordinato alle possibilità economiche. Vogliamo correre la sfida di un federalismo che sia il modo per riavvicinare 1e distanze della società italiana e non per accentuarle, che superi la distanza Nord-Sud in un’Europa dei popoli e non dei banchieri, falsi o reali che siano. Abbiamo il sogno di una società nella quale almeno una volta al giorno chi governa ricordi che le risorse della terrà sono di tutti gli uomini. Pensiamo che l’acqua non possa e non, debba essere privatizzata. Immaginiamo uno stato in grado di farsi promotore di uno sviluppo subordinato nel quale alla produzione delle anni si sostituisca quella del pane e della pasta. Immaginiamo che al bisogno e diritto di sicurezza di ogni cittadino debba essere data una risposta in termini di ridistribuizione e allargamento di risorse e possibilità che aiutino gli esclusivi a vivere dove sono nati.
Un grande partito non può vive di primarie, né scopiazzare i riti di una politica dove si governa attraverso slogan e in perfetta solitudine, hanno insegnato che si lavora, si soffre e si vince insieme. Nel Pd non può esserci una leadership né l’attuale, né quella per la quale qualcuno lavora, ma deve crescere e imporsi una partnership plurale e multiculturale. Non siamo educati al culto del capo o al centralismo democratico, abbiamo vissuto un clima nel quale ci si imponeva per le idee non per il culto della personalità. “Se dovessimo sbagliare, meglio sbagliare insieme. Se dovessimo indovinare, ah certo, sarebbe estremamente bello indovinare insieme, ma essere sempre insieme”: è ancora Moro.
E Moro diceva che “senza i giovani non c’è domani. Essi soltanto con la loro fede, la loro speranza ci ridonano la vita pura, buona, disposta a conservarsi e crescere sopra se stessa in quei valori che la fanno grande…Se vogliamo che la vita si indirizzi verso le altre mete umane, dobbiamo lavorare per i giovani e insieme con essi. Perché se è vero che i giovani sono la vita, è pur vero che essi hanno tutto di noi e sono quali noi li abbiamo formati.” Tutto questo è stato Assisi, dove ognuno si è sentito a casa. Poco prima della conclusione di Dario Franceschini che ha chiuso con stile e lungimiranza politica, così come aveva fatto all’apertura Beppe Fioroni, ho ricordato che nostro dovere è tenere sempre presente con Moro che “ogni persona è un universo” e che “forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere fame e sete della giustizia. Ma è sempre un grande destino”.