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Comunicati Stampa / 18.06.2014














di Gero Grassi - Vicepresidente Gruppo PD Camera deputati


Il prossimo anno si rinnova il Consiglio regionale Puglia ed il PD legittimamente aspira, con il metodo delle primarie dei cittadini, a portare un proprio uomo alla guida della Regione.
Credo che si debba partire dalla considerazione che in questi dieci anni di gestione della Regione il Presidente Nichy Vendola e il centrosinistra abbiano governato bene e cambiato in meglio la Puglia. Il Pd ha dato il suo qualificato e costante contributo a Vendola che resta un protagonista della scena politica regionale e nazionale, dal quale non si deve e non si può prescindere.
Il PD ha più strade dinanzi, mi auguro intraprenda quella più larga e aggregante, senza lasciarsi andare ad inseguire miserie umane o rivalse inutili.
Possiamo presentare due o più candidati democratici? E' legittimo. Ma quale è il senso? La visibilità di qualche protagonista'? Poco rispetto alla posta in gioco.
Il Pd ha investito molto sull'ex sindaco di Bari Michele Emiliano, eleggendolo per ben due volte a segretario regionale del partito. Allora la conseguenza oggi è che Michele sia il candidato unico di un partito che legittimamente vuole governare la Puglia insieme ai suoi alleati di centrosinistra e vuole farlo con volontà inclusiva senza escludere nessuno.
L'alternativa è la Babele democratica e questo nuoce al Pd e alla Puglia intera. Chi lo fa si assuma questa responsabilità.
Il PD vuole farlo senza proclami e diktat, insieme con gli alleati. Vuole farlo anteponendo le ragioni dei cittadini, seguendo il rinnovamento dei propri candidati e dei propri metodi. Vuole farlo sapendo che la gestione deve essere trasparente, limpida e tutta tesa al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini.
L'esperienza di Vendola è stata ottima, nessuno dimentichi il punto dal quale siamo partiti. Oggi si chiude un'era ed abbiamo necessità di grande rinnovamento, negli uomini e nei metodi. Si parta da Vendola per fare meglio.
Dieci anni fa il mondo e la Puglia erano diversi, molto diversi. Noi dobbiamo prenderne atto, altrimenti siamo fuori dalla storia. Provochiamo un grande dibattito sul programma del Pd e del centrosinistra, diciamo ai pugliesi quale Regione vogliamo, cosa intendiamo fare, quali uomini e donne proponiamo.
Le discussioni sterili sulla data delle primarie non hanno senso. Si decide insieme con gli alleati facendosi carico delle necessità oggettive dei candidati e della coalizione. Le elezioni regionali prossime non possono essere campo di battaglia per rivendicazioni di singoli o il prolungamento del congresso regionale del PD, devono essere una palestra programmatica per una idea di Puglia che prescinda dal singolo e trovi nelle diversita' il grande valore della comunità pensante dei cittadini che aspira ad essere programmazione, gestione, creazione di speranza e di futuro.

 

Comunicati Stampa / 17.06.2014


Le minori opportunità di occupazione per le donne, il sistema fiscale e la disparità tra redditi primari sono i fattori principali che determinano la disuguaglianza. Secondo l'Istat nonostante una ''redistribuzione di entità apprezzabile'' il sistema di tasse e prestazioni ''non riesce a determinare un grado di uguaglianza dei redditi disponibili monetari analogo a quello dei paesi più equilibrati''. L'Italia, si legge nell'ultimo rapporto annuale ''registra un dei più alti gradi di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi familiari primari'', guadagnati sul mercato impiegando il lavoro e il capitale.

Il sistema pubblico, secondo l’Istat, opera una redistribuzione di entità simile, o anche superiore rispetto a paesi che hanno una distribuzione più equilibrata dei redditi familiari, come: Svizzera, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia e Islanda. Nonostante una redistribuzione di entità apprezzabile, ''l'Italia rimane uno dei paesi europei con livelli più elevati di diseguaglianza economica anche dopo l'intervento pubblico'', collocandosi al quinto posto in Europa dopo Regno Unito, Grecia, Portogallo e Spagna.

Il sistema redistributivo, osserva l'Istat, ''potrebbe essere reso più efficace correggendone gli aspetti strutturali che sono poco coerenti con gli obiettivi di equità e di contrasto alla povertà''. L'evasione e l'erosione della base imponibile, osserva l'Istituto di statistica, ''riducono per ovvie ragioni la progressività del sistema''. Un altro aspetto problematico riguarda la distribuzione delle detrazioni Irpef, che non vengono rimborsate al contribuente per la parte eccedente l'imposta lorda. In sostanza, secondo l'Istat i principali problemi da risolvere sono ''l'assetto individualistico della tassazione e l'incapienza'' che rendono ''difficile concentrare l'imposta sulle famiglie più povere''. 

Comunicati Stampa / 16.06.2014



Al 31 dicembre 2013 risiedono in Italia 60.782.668 persone, di cui più di 4milioni e 900mila (8,1%) di cittadinanza straniera. E' il risultato del bilancio demografico nazionale 2013 dell'Istat. L'Istituto di statistica certifica che nel corso del 2013 l'incremento reale della popolazione, dovuto alla dinamica naturale e a quella migratoria, registra una crescita molto modesta, pari ad appena 30mila unità (+0,1%) I nati stranieri, nel 2013, diminuiscono per la prima volta (-2.189) rispetto all'anno precedente, pur rappresentando il 15% del totale dei nati. Il movimento naturale della popolazione ha fatto registrare un saldo negativo di circa 86 mila unità. In particolare, sono stati registrati quasi 20 mila nati e circa 12 mila morti in meno rispetto all'anno precedente.
Per quanto riguarda il movimento migratorio con l'estero, si registra nel 2013, un saldo positivo pari a circa 182 mila unità, in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Aumenta l'emigrazione italiana, diminuisce l'immigrazione straniera.

 

Comunicati Stampa / 15.06.2014


Il 2 aprile 2014 è stata approvata definitivamente la legge in materia di pene detentive non carcerarie e di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (L. n. 67 del 2014); essa reca all’articolo 2 una delega al Governo per la riforma del sistema sanzionatorio dei reati. Tra i principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, vi è anche l’abrogazione del reato di ingresso e soggiorno illegale, trasformato in illecito amministrativo.
La nuova fattispecie di reato dell’ingresso e soggiorno illegale, punita come contravvenzione con l’ammenda da 5 mila a 10 mila euro e attribuita alla competenza del giudice di pace è stata prevista dalla legge 94/2009 (parte integrante del “pacchetto sicurezza” varato all’inizio della scorsa legislatura) con l’introduzione dell’art. 10-bis del testo unico immigrazione. Si tratta del decreto-legislativo 286/1998 recante testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizione dello straniero, adottato in base alla delega contenuta nella legge 40/1998 (comunemente detta legge Turco-Napolitano). Il testo unico è stato modificato molte volte, in particolare, in modo significativo, dalla legge 189/2002 (c.d. Bossi-Fini) e, appunto, dalla legge 94/2009. 
In materia è intervenuta la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza 6 dicembre 2012, C-430/11 (caso Sagor). Con questa sentenza la Corte UE ha ravvisato l’incompatibilità di alcune disposizioni del testo unico in materia di immigrazione con la direttiva 2008/115/CE (c.d. direttiva “rimpatri”) recepita dall’ordinamento ad opera del decreto-legge 89/2011. 
In realtà, il reato di immigrazione illegale non è oggetto di sindacato della sentenza Sagor che anzi ribadisce il proprio orientamento secondo il quale la direttiva rimpatri non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare quale reato e lo punisca con sanzioni penali. Tuttavia, la Corte individua nella procedura penale connessa alla punizione del reato alcune misure che compromettono l’applicazione delle norme previste dalla direttiva, “privando quest’ultima del suo effetto utile”.
La prima misura risiede nella previsione, contenuta nella legge sulla competenza penale del giudice di pace, che la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato si converte, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi. Se il condannato non richiede di svolgere il lavoro sostitutivo oppure si sottrae ad esso si applica l’obbligo di permanenza domiciliare al massimo di 45 giorni (art. 55, D.Lgs. 274/2000). Secondo la Corte la previsione dell’obbligo della permanenza domiciliare applicata allo straniero irregolare contraddice il principio della direttiva secondo il quale l’allontanamento deve essere adempiuto con la massima celerità. Infatti, l’articolo 8 della direttiva prevede che gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria (da 7 a 30 giorni). E’ vero che il giudice può sostituire la pena dell’ammenda con l’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni (art. 16, comma 1 TU). Ma in questo caso l’espulsione è immediata; infatti l’art. 16, comma 2, TU fa rinvio per le modalità di espulsione all’art. 13, comma 4, TU, relativo espulsione con accompagnamento alla frontiera, e “immediata”, come definita dal successivo comma 5.
E qui interviene la seconda censura della Corte che ribadisce che la facoltà di sostituire l’ammenda con l’espulsione non è di per sé vietata dalla direttiva, ma tuttavia l’espulsione immediata, ossia senza la concessione di un periodo di tempo per la partenza volontaria, può essere disposta esclusivamente in presenza di precise condizioni (quali il pericolo di fuga ecc.) e che “qualsiasi valutazione al riguardo deve fondarsi su un esame individuale della fattispecie in cui è coinvolto l’interessato” e quindi non può applicarsi automaticamente allo straniero per il solo fatto di essere in posizione irregolare e condannato per il reato di immigrazione clandestina.

 

Comunicati Stampa / 14.06.2014


L'Ocse ha calcolato che, rispetto al 2007, il reddito medio in Italia ha subito una diminuzione di circa 2.400 Euro, arrivando ad un livello di 16.00 euro pro capite nel 2012. Si tratta di una delle riduzioni in termini reali più significative nell’Eurozona, dove la diminuzione media nei redditi, nello stesso intervallo di tempo, è stata pari a 1.100 Euro.
Il recente rapporto dell'Istat Noi Italia 2014 stima che il 24,9 per cento delle famiglie residenti in Italia nel 2012 presenta almeno tre delle difficoltà considerate nel calcolo dell’indice sintetico di deprivazione. Il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio del Mezzogiorno, dove l’indicatore raggiunge il 41,0 per cento. Allo stesso tempo, un documento della Banca d’Italia rileva come nell’arco di tempo che va dal 2003 al 2011, l’indebitamento medio delle famiglie italiane sia passato dal 30,8% al 53,2% del reddito disponibile lordo.
Secondo dati Istat, nei primi nove mesi del 2013 il potere d’acquisto delle famiglie, paragonato a quello registrato nello stesso periodo del 2012, ha registrato una flessione dell’1,5%.
La conseguenza di tale ridotta capacità di spesa ha determinato cambiamenti significativi nello stile di vita e una crescente mole di richieste di aiuto anche da parte di settori della popolazione precedentemente non compresi nelle categorie della povertà e dell'esclusione. Il Rapporto della Caritas sulla povertà ha ben descritto questa nuova categoria di poveri, che conferma la progressiva “normalizzazione sociale” di coloro che richiedono beni e servizi materiali.
La legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ha finanziato con 10 milioni di euro, il Fondo destinato a finanziare programmi annuali di distribuzione di derrate alimentari agli indigenti... 
 
Comunicati Stampa / 13.06.2014











Con l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, il PD ha voluto dare un segnale di forte cambiamento al Paese. Abbiamo fatto una scelta verso la sobrietà, la responsabilità e la trasparenza.
Da quest'anno saranno i cittadini a scegliere se e come sostenere la politica. Puoi scegliere di contribuire e partecipare ai progetti del PD anche devolvendo il 2x1000 dell'irpef.
Sei ancora in tempo per farlo, anche se hai già consegnato la dichiarazione dei redditi.

Per saperne di più clicca sul link
www.partitodemocratico.it/2x1000

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