Comunicati Stampa

Comunicati Stampa / 04.12.2014

 

Nel terzo trimestre 2014 i contratti a tempo indeterminato aumentano del 7,1% rispetto allo stesso periodo del 2013.
Gli avviamenti complessivi sono 2milioni 474mila (+ 2,4%)
Un andamento positivo dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, pari ad oltre 400mila nuovi contratti, con un aumento tendenziale del 7,1% rispetto ad un anno prima, concentrato nei settori dell'industria e dell'agricoltura, mentre diminuiscono gli avviamenti nel settore dei servizi, tranne che nell'istruzione, che presenta più di 17mila nuovi contratti a tempo indeterminato.
È la prima indicazione che emerge da un'anticipazione dei dati forniti dal Sistema Informativo delle Comunicazioni Obbligatorie sull'avviamento di nuovi rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato relativi al 3° trimestre del 2014.
Complessivamente, gli avviamenti di rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato sono stati 2milioni 474mila, con un aumento del 2,4% rispetto al 3° trimestre del 2013.
I rapporti di lavoro a tempo determinato rappresentano circa il 70% dei nuovi contratti, con un incremento dell'1,8% rispetto al terzo trimestre 2013. Questa tipologia contrattuale soddisfa in particolare le esigenze dell'agricoltura per circa 460mila contratti, con un aumento rispetto al terzo trimestre 2013 del 10,6%.
I contratti di apprendistato crescono del 3,8%, confermando, pure in termini più contenuti, la tendenza che si era già evidenziata nel secondo trimestre, nel quale avevano fatto registrare un balzo del 16%.
Le cessazioni dei rapporti di lavoro sono state 2milioni 415mila, con una dinamica di +0,9% rispetto all'anno precedente, dovuta ad una crescita delle cessazioni a termine dei contratti a tempo determinato (che rappresentano il 65% del totale delle cessazioni); per tutte le altre tipologie contrattuali si riscontra un andamento in diminuzione.
Tra le cause di cessazione si evidenzia un deciso aumento di pensionamenti (+55%), riscontrabili nel settore dell'istruzione, ed una diminuzione del 3,3% dei licenziamenti, che costituiscono il 9% di tutti i rapporti di lavoro cessati.
Questi dati, in continuità con quelli relativi al 2° trimestre, confermano che il cosiddetto decreto Poletti, convertito nella legge 78/2014, ha prodotto l'esito che era auspicabile, cioè un incremento dei contratti a tempo indeterminato e dei contratti di apprendistato.
Comunicati Stampa / 30.11.2014

 

A novembre 2014 l'indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane (Iesi, Istat economic sentiment indicator), espresso in base 2005=100, scende a 87,7 da 89,1 di ottobre.
Il clima di fiducia delle imprese migliora nel settore manifatturiero ed in quello del commmercio al dettaglio; peggiora nel settore delle costruzioni e dei servizi di mercato.
L'indice del clima di fiducia delle imprese manifatturiere sale a 96,3 da 96,1 di ottobre. I giudizi sugli ordini rimangono stabili (a -25), le attese di produzione migliorano lievemente (da 2 a 3); il saldo relativo ai giudizi sulle scorte di magazzino passa da 3 a 2.
L'analisi del clima di fiducia per raggruppamenti principali di industrie (Rpi) indica un miglioramento per i beni di consumo (da 95,9 a 96,9) e per i beni strumentali (da 96,0 a 96,6), resta stabile per i beni intermedi (a 97,5).
L'indice del clima di fiducia delle imprese di costruzione scende a 74,0 da 77,3 di ottobre. Peggiorano le attese sull'occupazione (da -21 a -28 il saldo) e migliorano lievemente i giudizi sugli ordini e/o piani di costruzione (da -50 a -49).
Nel mese di novembre, l'indice destagionalizzato del clima di fiducia delle imprese dei servizi scende a 88,7 da 89,2 di ottobre. 
Peggiorano i giudizi e le attese sugli ordini (da -16 a -19 e da 1 a -8, i rispettivi saldi) e migliorano, invece, le attese sull'andamento del'economia italiana (da -28 a -17).
Nel commercio al dettaglio, l'indice del clima di fiducia sale a 97,6 da 94,2 (in ottobre). La fiducia migliora sia nella grande distribuzione (da 91,8 a 95,0) sia in quella tradizionale (da 97,0 a 101,2).
Comunicati Stampa / 29.11.2014

 

Nel 2013 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 514.308 bambini, quasi 20 mila in meno rispetto al 2012. Il dato conferma che è in atto una nuova fase di riduzione della natalità: oltre 62 mila nascite in meno a partire dal 2008.
Ancora più marcata la diminuzione delle nascite da entrambi i genitori italiani (-70 mila nell'ultimo quinquennio). Questo avviene in larga misura perché le donne italiane in età feconda sono sempre meno numerose e fanno sempre meno figli.
Si avvertono inoltre le conseguenze del forte calo della nuzialità registrato nello stesso quinquennio (circa 53 mila nozze in meno). I nati all'interno del matrimonio, infatti, scendono per la prima voltà sotto quota 400 mila: nel 2013 sono appena 380.863, quasi 83 mila in meno in 5 anni.
I nati da genitori non coniugati si mantengono intorno a 133 mila nel 2013; tuttavia, a causa della forte diminuzione dei nati da coppie coniugate il loro peso relativo è salito ancora e raggiunge il 25,9%. Al Centro-nord, in particolare, la quota di nati da genitori non coniugati arriva al 30%.
In lieve diminuzione per la prima volta anche i nati con almeno un genitore straniero (3.239 in meno rispetto al 2012), che ammontano a poco più di 104 mila nel 2013, pari al 20,2% del totale dei nati a livello medio nazionale (il 28% nel Nord e solo l'8% nel Mezzogiorno).
Diminuiscono in particolare i nati con entrambi i genitori stranieri, scesi a 77.705 unità nel 2013, 2.189 in meno rispetto al 2012. In leggera flessione anche la loro quota sul totale delle nascite, pari al 15% nel 2013.
Considerando la composizione per cittadinanza delle madri straniere, ai primi posti per numero di figli si confermano le donne rumene (19.492 nati nel 2013), al secondo le marocchine (12.778), al terzo le albanesi (9.966) e al quarto le cinesi (4.969). Queste quattro comunità raccolgono da sole quasi il 45% delle nascite da madri straniere in Italia.
Prosegue la diminuzione della fecondità avviatasi dal 2010, nel 2013 il numero medio di figli per donna scende a 1,39 (rispetto a 1,46 del 2010). Per le italiane l'indicatore nel 2013 è pari a 1,29 figli donna, per le cittadine straniere a 2,10
Comunicati Stampa / 27.11.2014

 


Stime dicono che gli italiani utilizzano i principali social network per una media di due ore al giorno. Quanto vale tutto questo tempo?
 
Facebook, col suo miliardo e passa di utenti attivi, è una delle nazioni più popolose della Terra e promette, assai presto, di superare persino India e Cina. Facebook ha cambiato le nostre vite dando il la alla iper-connessione e condivisione della vita privata, modificando radicalmente le nostre modalità di comunicazione.
Ma è possibile stimare il valore del tempo che passiamo sul social network di Mark Zuckerberg?
Proviamo a risolvere questo divertissement concentrandoci sull’Italia e replicando un gioco proposto da Daron Acemoglu nel capitolo dedicato al costo-opportunità del suo manuale di microeconomia. Tutto ciò che ci serve è la quantità di ore che le persone passano su Facebook nel nostro paese, il numero complessivo di utenti e un insieme di ragionevoli assunzioni sul costo del loro tempo. L’Italia è uno dei paesi in Europa con la maggiore penetrazione del social network di Menlo Park: il 42 per cento della popolazione ha un profilo attivo, tradotto in numeri assoluti significa 25 milioni e 200mila persone. Per utente attivo si intende una persona che posta più o meno regolarmente sulla piattaforma.
Una grande maggioranza di utilizzatori appartiene alla fascia d’età 15-54 (in età da lavoro, quindi) mentre, in proporzione, gli uomini rappresentano il 54 per cento contro il 46 per cento di donne...