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Secondo l'ultima indagine dell'Istituto italiano di statistica, rispetto al 2013 la quota è scesa dal 43% al 41,4%. In crescita gli ebook e l'editoria per ragazzi
 
Istat - Nel 2014, oltre 23 milioni 750 mila persone di 6 anni e più dichiarano di aver letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l'intervista, per motivi non strettamente scolastici o professionali. Rispetto al 2013, la quota di lettori di libri è scesa dal 43% al 41,4%.
La popolazione femminile mostra una maggiore propensione alla lettura già a partire dai 6 anni di età: complessivamente il 48% delle femmine e solo il 34,5% dei maschi hanno letto almeno un libro nel corso dell'anno.
La quota di lettori è superiore al 50% della popolazione solo tra gli 11 ed i 19 anni mentre la fascia di età in cui si legge di più è quella tra gli 11 e i 14 anni (53,5%).
La propensione alla lettura è fortemente condizionata dall'ambiente familiare: leggono libri il 66,9% dei ragazzi tra i 6 e i 14 anni con entrambi i genitori lettori, contro il 32,7% di quelli con genitori che non leggono libri.
Nel Mezzogiorno la lettura continua ad essere molto meno diffusa rispetto al resto del Paese: meno di una persona su tre nel Sud e nelle Isole ha letto almeno un libro (la quota di lettori è rispettivamente il 29,4% e il 31,1% della popolazione).
Si legge di più nei comuni centro dell'area metropolitana: la quota di lettori è al 50,8%, ma scende al 37,2% in quelli con meno di 2.000 abitanti.
Quasi una famiglia su dieci (9,8%) non ha alcun libro in casa; il 63,5% ne ha al massimo 100.
I "lettori forti", cioè le persone che leggono in media almeno un libro al mese, sono il 14,3% dei lettori, una categoria sostanzialmente stabile nel tempo.
 
 

 

La Banca nazionale ha deciso a sorpresa di lasciar fluttuare liberamente la valuta nazionale, eliminando il tetto minimo di 1,20 franchi per euro in vigore dal 2011. Di conseguenza la moneta si è subito rafforzata, scatenando timori di un indebolimento delle esportazioni.
Berna dice addio, a sorpresa, al “tetto minimo” per il cambio tra il franco e l’euro. E scatena il panico in Borsa ma anche tra i piccoli risparmiatori. In pratica la Banca nazionale svizzera ha deciso, in modo del tutto inatteso dai mercati, di lasciar fluttuare liberamente la valuta nazionale, che dal settembre 2011 viene artificialmente mantenuta “debole” per favorire le esportazioni e il mercato del lavoro. Qualcosa di simile a quello che avveniva in Italia negli anni ’90, quando Roma riduceva il valore della lira per far recuperare terreno ai propri prodotti sui mercati internazionali. Non per niente si parlava di “svalutazioni competitive“. La Svizzera più di tre anni fa ha introdotto, con lo stesso intento, una soglia di 1,20 franchi per un euro sotto la quale la moneta non poteva scendere.
Il presidente della Swiss national bank, Thomas Jordan, solo dieci giorni fa aveva definito il tetto “assolutamente centrale” e irrinunciabile. Oggi il dietrofront, arrivato come un fulmine a ciel sereno. Il tasso di cambio minimo, si legge in una nota della Banca nazionale, “è stato introdotto in un periodo di sopravalutazione eccezionale del franco e di un alto livello di incertezza nei mercati finanziari”, ma ora “non è più giustificato” perché “per quanto la valutazione del franco sia sempre alta” ora “l’euro si è deprezzato in modo considerevole rispetto al dollaro con il conseguente indebolimento del franco rispetto alla moneta Usa”.